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martedì 30 dicembre 2014

Annullamento del matrimonio alla Sacra Rota. Eliminazione dell'assegno di mantenimento


Un modo per eliminare radicalmente il diritto all'assegno di mantenimento del coniuge è quello di ottenere la dichiarazione di nullità innanzi il Tribunale ecclesiastico della Sacra Rota.
Questo stratagemma può essere applicato solo da chi ha contratto il c.d. matrimonio concordatario, cioè si è sposato in chiesa.
In questo caso, se il tribunale ecclesiastico dichiara che il matrimonio era nullo, la sentenza può essere “delibata” cioè fatta propria dallo Stato italiano.
La conseguenza civile è che sparirà radicalmente il diritto al mantenimento del coniuge.
Rimarrà solo quello per i figli.
Unico temperamento è quello di cui all'art. 129 del codice civile; in base a questa norma, il coniuge in buona fede avrà diritto ad avere il mantenimento per un massimo di tre anni.
Questo meccanismo è spesso usato in modo “truffaldino” contro le persone inconsapevoli. Non è raro infatti che si dica al coniuge che si chiede la dichiarazione di nullità religiosa solo per questioni morali, per fare la comunione, per non essere esclusi dalla Chiesa.
Capita quindi che ci si creda, non si vada da un avvocato

a farsi consigliare e si lasci annullare il matrimonio senza problemi.
Solo che … poi si perde tutto...



martedì 18 novembre 2014

In sintesi le nuove procedure per separazioni e divorzi. Negoziazione assistita e consensuale davanti ufficiale d'anagrafe.

Il decreto legge 132/2014 ha profondamente innovato il regime delle separazioni e dei divorzi.
Ne parliamo in sintesi.
La negoziazione assistita è applicabile quando non ci siano figli minori o maggiorenni portatori di handicap grave.
Di conseguenza i coniugi possono farsi assistere ognuno da un avvocato ed esperire una trattativa senza bisogno di andare in tribunale.
Qualora sia raggiunta una transazione, il relativo accordo (sia per le separazioni che i divorzi) sarà trascritto dagli avvocati con lo stesso effetto di una sentenza.
I coniugi potranno anche fare a meno degli avvocati (sempre in assenza di figli minorenni o portatori di handicap grave).
Potranno infatti comparire innanzi l'Ufficiale di Stato Civile del comune di residenza di uno dei coniugi o presso quello dove è stato celebrato il matrimonio. 
Lì dichiareranno il loro accordo di separazione o di scioglimento  del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili o di modifica delle condizioni.
Anche qui il valore è equiparato a quello di un provvedimento giudiziale.
A mio parere questa procedura nella maggior parte dei casi semplificherà e leverà lavoro ai tribunali. 
Tutela però di meno il coniuge debole e comunque la giustizia.
Prendiamo il caso, ad esempio, di una moglie maltrattata e succube.
E' evidente che può essere indotta ad accettare condizioni ingiuste e per lei dannose. 
Con il vecchio regime sarebbe comparsa comunque davanti il Tribunale. Il Giudice, vedendo condizioni inique (come la rinuncia ad un assegno di mantenimento)  avrebbe potuto  almeno avvisarla ed invitarla a ragionare.
Questo non accadrà certamente davanti l'Ufficiale di Stato Civile che del resto non avrebbe nemmeno la competenza!
Quindi prosegue l'andazzo delle riforme della giustizia italiana: l'unica cosa che conta è risparmiare, eliminando i processi. La giustizia, il dare ragione a chi ce l'ha e difendere il debole ha sempre meno importanza. Nel caso della negoziazione assistita il problema è minore perchè ognuna delle parti è assistita dal proprio legale.
 

giovedì 23 ottobre 2014

Non pagare il mutuo della ex casa coniugale è reato?

Il caso è quello della casa coniugale assegnata alla moglie, con un mutuo sopra; il mutuo, nel nostro caso, può essere intestato in tutto o parte al marito.
In questo post ci riferiamo al caso esaminato dal una recente sentenza della Cassazione.
Il marito era stato obbligato a passare l'assegno di mantenimento per il coniuge ed i figli.
Aveva poi smesso di pagare il mutuo sulla casa coniugale.
Il reato contestabile è quello di cui all'art. 570 del codice penale, violazione degli obblighi di assistenza familiare; la norma prevede la punizione per "chi faccia mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa."
In genere detta norma viene applicata a chi non paga l'assegno di mantenimento.
Nel nostro caso l'assegno era pagato ma non il mutuo.
La Corte di Cassazione (sez. VI penale, sentenza 24.7.2014, n. 33023) ha stabilito che il marito fosse colpevole.
Infatti, non pagando il mutuo, ha costretto la moglie a utilizzare l'assegno di mantenimento per il pagamento del mutuo stesso. Inoltre, aggiungiamo, il mancato pagamento del mutuo mette in pericolo l'esistenza stessa della casa coniugale.
Condividiamo pienamente quindi la sentenza in oggetto.
Nella pratica, il principio non è sempre applicato.
Anni fa mi è capitato il caso in cui i figli hanno pignorato l'appartamento del padre (per altro nullatenente) per la mancata restituzione di un prestito. Gli hanno anche messo in vendita l'appartamento stesso.  Il Pubblico Ministero chiese l'archiviazione della denuncia ... Diciamo che come al solito vorremmo che la saggezza (ed anche l'ovvietà) della Cassazione fosse condivisa anche da altri operatori del diritto...

lunedì 20 ottobre 2014

Le spese straordinarie si possono includere nell'assegno di mantenimento?

Nella stragrande maggior parte delle condizioni di separazione si stabilisce un assegno mensile a favore dei figli, a cui si aggiunge, più o meno:"oltre la metà delle spese straordinarie scolastiche, sanitarie ...".
Spesso le spese straordinarie sono causa di contenzioso.
Esiste quindi la tentazione di conglobarle forfettariamente nell'assegno di mantenimento ordinario.
Altra possibilità è quella di aggiungere la parola "concordate" ma di fatto questo può bloccare alcune spese importanti per i figli.
Per quello che riguarda il considerarle parte dell'assegno ordinario, potrebbe essere inutile.
Si veda in questo senso la recente sentenza della Cassazione civile 18869/2014.
La Corte d'Appello aveva conglobato le spese straordinarie nell'assegno di mantenimento.
La Cassazione ha deciso che questo fosse illegittimo per le seguenti considerazioni, riportate integralmente:
"5.1. - Nella determinazione del contributo per il mantenimento della prole minore di età, il giudice deve tener conto non solo delle esigenze attuali del figlio, ma anche del tenore di vita goduto dallo stesso nel corso della convivenza con entrambi i genitori, nonché delle risorse economiche di questi, in modo da realizzare il principio generale di cui all'art. 148 cod. civ., secondo cui i genitori devono concorrere al mantenimento dei figli in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. 
5.2. - La Corte di merito, nel non adeguare l'assegno di mantenimento per le figlie posto a carico del P. , nonostante il constatato miglioramento delle condizioni economiche dello stesso da un lato, e, dall'altro, le crescenti esigenze, dalla stessa Corte evidenziate, delle figlie, in età adolescenziale, ed anzi nel ricomprendere nell'ammontare di detto assegno le spese mediche, ludiche e scolastiche straordinarie, non si è attenuta al principio dianzi esposto."

venerdì 17 ottobre 2014

Se il marito non può lavorare per una grave malattia, può eliminare l'assegno?


Eppure la soluzione non è semplice, nella prassi.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 20145 del 24.9.2014) ha deciso che lo stato di malattia, quando impedisca l'attività lavorativa, vada preso in considerazione. Di conseguenza l'assegno per il coniuge può essere ridotto o eliminato.
Ha risolto il caso di un uomo di 30 anni che non poteva lavorare per una grave malattia.
Il problema pratico è però un altro.
Quella della Cassazione è una massima che tra l'altro rispecchia anche il minimo del ragionamento logico.
Quello che è grave è che la Corte d'Appello aveva deciso diversamente, non esaminando nemmeno una perizia medico legale ed altre prove.
In pratica quindi l'uomo di cui sopra ha avuto ragione e ne sarà contento. Ha però avuto ragione dopo ben tre gradi di giudizio!
Doveva dirla la Cassazione una cosa così ovvia?
Da una parte quindi bisogna accogliere con gioia questa sentenza della Cassazione. Dall'altra rimane un po' di tristezza per le difficoltà pratiche che spesso si devono affrontare prima di avere giustizia....

domenica 28 settembre 2014

Se si viveva da tirchi con un marito ricco si ha diritto all'assegno di mantenimento?

Nel post precedente abbiamo scritto che un coniuge ha diritto all'assegno relativamente al regime di vita che si era mantenuto durante il matrimonio.
Abbiamo scritto che questo ha importanza anche se se il coniuge che chiede l'assegno è ricco di per se'.
Il riferimento al regime di vita ci fa arrivare ad una importante precisazione: la sproporzione del reddito tra i coniugi ha importanza  in riferimento al regime di vita.
Supponiamo che la moglie abbia un reddito di € 3.000,00 mensili e che il marito lo abbia di € 10.000,00 mensili.
Non è automatico che spetti l'assegno e che questo debba essere sostanzialmente una media tra i due redditi.
In questo caso la moglie è certamente economicamente autosufficiente.
Bisognerà andare a vedere il tenore di vita tenuto dai coniugi durante il matrimonio.
Se erano abituati a spendere grosse cifre probabilmente gli € 3.000 della moglie non saranno sufficiente a mantenere tale tenore. Avrà quindi diritto ad un assegno adeguato.
Qualora i coniugi facessero invece vita ritirata, spendendo lo stretto necessario, la moglie non avrebbe diritto ad alcun assegno.
Colpisce sicuramente ma di fatto la vita matrimoniale tirchia o spendacciona ha sicuramente influsso sull'assegno di mantenimento, ben al di là della morale o del comune modo di sentire.



Spetta l'assegno di mantenimento alla moglie ricca?

Se la moglie è ricca ha diritto all'assegno di mantenimento?
E per il marito come ci si regola?
E' quasi superfluo dire che le situazioni sono identiche, almeno sul piano del diritto.
Sembra assurdo ma anche il coniuge ricco, proprietario di immobili e con un buon reddito, può avere diritto all'assegno di mantenimento.
Quello che in effetti conta non è tanto il reddito individuale quanto il tenore di vita tenuto durante il matrimonio.
Un caso celebre è quello della moglie di Berlusconi. Ha avuto un assegno di mantenimento di centinaia di migliaia di Euro pur essendo del tutto al di fuori dello stato di bisogno.
Nel suo, come in casi simili, conta il tenore di vita che si aveva durante il matrimonio. Se ad esempio si era abituati ad andare al ristorante tuttte le sere, frequentare costosi clubs sportivi e circoli privati, andare spesso da parrucchiere ed estetista, tutto questo - nei limiti del reddito dell'altro coniuge - dovrà essere possibile anche dopo la separazione.
In questo modo si giustifica l'assegno milionario della moglie di Berlusconi ma anche casi molto più modesti.
In questo senso, tra le altre, le sentenze Cass. Civ. Sez. I, 31 luglio 2008, n. 20886 e Cass. Civ.  4 febbraio 2011, n. 2747. 



sabato 20 settembre 2014

Per difendere bene una donna ci vuole una donna?


Agosto è passato ed anche settembre sta velocemente apprestandosi a diventare ottobre.
Il lavoro dell'avvocato ormai è ripreso a pieno ritmo e che cosa c'è di meglio di un discorso poco serio per riscaldare questo triste periodo con un sorriso?
Oggi poi è venuta a studio una cliente, separata e con una causa per modifica delle condizioni di separazione.
Alcuni suoi commenti sull'avvocato donna che l'ha assistita mi hanno fatto pensare. Molte volte ho sentito e visto donne scegliere avvocati donna con l'idea che le difendessero meglio ma, soprattutto, che facessero a pezzi il marito.
Molte dicono esplicitamente che preferiscono l'avvocato donna perché sarebbe più aggressivo.
Alcune osservazioni della cliente mi hanno colpito al di la del caso concreto.
Sosteneva che la propria avvocatessa sembrava ad un tratto parteggiare per il marito. Lei invece aveva avuto un buon rapporto con l'avvocato del marito, maschio.
Ora farò un paragone “irriverente” ma, visto che parlo di avvocati, in caso sarebbe irriverente prima per me... :-)
Prima che esseri umani siamo animali, anche se spesso ce lo dimentichiamo.
Gli psicologi dicono concordi che il nostro comportamento è dettato quasi per nulla dai ragionamenti e moltissimo da emozioni ed eredità ancestrali, nascoste nel nostro DNA.
Per di più è risaputo che gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere...
Visto che siamo anche animali e visto che abbiamo deciso di essere irriverenti con gli avvocati, paragoneremo avvocati ed esseri umani ai cani.
Chi ha avuto cani mi capirà benissimo.
Un cane maschio non litiga mai con un cane femmina. Un cane femmina ringhierà ad un cane maschio ma di fatto ci andrà d'amore e d'accordo.
Un cane maschio litigherà, spesso fino alla morte, con un altro maschio per affermare la propria supremazia.
Lo stesso farà una femmina nei confronti di un'altra femmina.
Quale è l'amara conclusione?
Una donna può essere difesa meglio da un avvocato uomo. Viceversa per un uomo.
Ma … è tutto uno scherzo pre autunnale … Buon lavoro a tutti, uomini e donne che siano. L'importante è che un avvocato, uomo o donna che sia, sia un buon avvocato! :-)

sabato 9 agosto 2014

La moglie può essere obbligata a pagare l'IRPEF del marito se è divorziata?

Quando i coniugi fanno congiuntamente la dichiarazione dei redditi lo fanno per alcuni vantaggi.
Come sempre ai vantaggi si accompagnano gli svantaggi.
E' stato esaminato il caso di due coniugi ai quali l'Agenzia delle Entrate ha chiesto il pagamento di somme relative all'IRPEF di una dichiarazione congiunta.
Il Fisco sosteneva che esiste la solidarietà tra marito e moglie, nonostante il fatto che esista una separazione o divorzio.
In pratica, il concetto di solidarietà implica che ognuno dei coniugi è responsabile nei confronti del Fisco per l'intera somma. In seguito potrà richiedere al marito o alla moglie l'eventuale parte che non era di sua competenza. E' semplice immaginare cosa succede di fatto qualora il debitore reale non possa pagare o comunque non lo faccia...
La pretesa dell'Agenzia delle Entrate è stata contestata anche sul presupposto che ormai il matrimonio non esisteva più.
La Corte di Cassazione (sent. 17160/2014, sez. VI, 29.7.2014) ha stabilito che la solidarietà esiste anche nel caso di separazione o divorzio.
Leggiamo nella sentenza:"Ai sensi dell'art. 17 della legge 13 aprile 1977, n. 114, la dichiarazione dei redditi congiunta, consenti

ta a coniugi non separati, costruisce una facoltà che, una volta esercitata per libera scelta degli interessati, produce tutte le conseguenze, vantaggiose ed eventualmente svantaggiose, che derivano dalla legge e che ne connotano il peculiare regime, a prescindere dalle successive vicende del matrimonio; ne consegue, pertanto, che la responsabilità solidale dei coniugi per il pagamento dell'imposta ed accessori, iscritti a ruolo a nome del marito a seguito di accertamento, prevista dall'ultimo comma del citato art. 17, non è influenzata dal venir meno, successivamente alla dichiarazione congiunta, della convivenza matrimoniale per separazione personale."

sabato 26 luglio 2014

Se l'affidamento è condiviso bisogna pagare l'assegno di mantenimento per i figli?


Lo schema generale della separazione (entrato nella coscienza sociale) è che i figli vengano affidati ad un coniuge (generalmente la madre) e che l'altro genitore debba pagare un assegno per il mantenimento dei figli.
Da qualche anno la situazione è cambiata e l'affidamento è di norma condiviso, nel senso che i figli vengono affidati ad entrambi i genitori, non solo ad uno di essi.
Non c'è più la differenza giuridica che c'era prima tra coniuge affidatario e non affidatario.
La nuova norma però di fatto permette (ed è logico) che il figlio, pur essendo affidato ad entrambi i genitori, sia "collocato" presso uno di loro.
Ci si chiede quindi se, avendo i genitori pari diritti, si debba pagare l'assegno al coniuge presso il quale abitano i figli.
La Cassazione ha precisato che il genitore presso cui sono collocati i figli ha la necessità maggiore di affrontare le spese per loro; ha quindi necessità (ed è logico) che l'altro genitore contribuisca con un assegno. (sent. 23411 del 4.11.2009, I sez. civile; 22502/2010, sez. 1 civ., 4.11.2010).
Dal tenore stesso della sentenza si evince che la situazione cambierebbe qualora i figli fossero collocati praticamente a metà tra un genitore e l'altro.
Una situazione del genere (compresa l'eventuale permanenza dei figli in due case o nella stessa casa, dove si alternano i genitori) è consentita dalla legge ed anche in un certo senso auspicata.In questo ultimo caso l'assegno non sarebbe dovuto.
Il fatto che il figlio gravi in maniera paritaria su entrambi i genitori potrebbe essere un motivo per la revisione - revoca dell'assegno eventualmente stabilito in precedenza.



L'indice Istat di giugno 2014 per l'adeguamento dell'assegno di mantenimento.

L'ISTAT, il 15 luglio 2014 ha pubblicato gli indici per il mese di giugno.
La variazione del mese di giugno 2014 rispetto a giugno 2013 è di +0,1 %.
Questo significa che se un assegno era a giugno 2013 di € 1.000, a aprile 2014 diventa (€ 1000/100*100,4) € 1.001,00.
In teoria quindi il costo della vita dovrebbe essere aumentato, in un anno, dello 0,1 %.
Per fare calcoli più veloci (anche per più anni precedenti) è comunque disponibile il foglio di calcolo in fondo a questa pagina.
I dati sono comunque ricavabili (con qualche difficoltà) dal sito www.istat.it . Bisognerà cercare i dati dell'indice dei prezzi dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

mercoledì 18 giugno 2014

Adeguamento istat maggio 2014 dell'assegno di mantenimento.

L'ISTAT, il 13 giugno 2014 ha pubblicato gli indici per il mese di maggio.
La variazione del mese di maggio 2014 rispetto a maggio 2013 è di +0,4 %.
Questo significa che se un assegno era a maggio 2013 di € 1.000, a maggio 2014 diventa (€ 1000/100*100,4) € 1.004,00.
In teoria quindi il costo della vita dovrebbe essere aumentato, in un anno, dello 0,4 %.
Per fare calcoli più veloci (anche per più anni precedenti) è comunque disponibile il foglio di calcolo in fondo a questa pagina.
I dati sono comunque ricavabili (con qualche difficoltà) dal sito www.istat.it . Bisognerà cercare i dati dell'indice dei prezzi dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

giovedì 5 giugno 2014

Il rancore dei giusti ed i danni della voglia di vendetta.

Ted Allbeury, “Gli insospettabili”, Mondadori, 14 ottobre 1990:
Nelle cause di divorzio, i clienti difficili sono le persone oneste che hanno poche o zero responsabilità nella rottura del matrimonio. I clienti facili sono uomini o donne irresponsabili o spregiudicati, amorali o immorali. Non rinunciano a nulla di veramente importante per loro. Vogliono solo uscirne. Raramente hanno rancori. Di solito si sono fatti una vita nuova. Nuovi rapporti. Sono contenti, perciò non creano difficoltà ne' a me, ne' agli ex coniugi. I casi difficili sono le persone corrette e leali che restano sconvolte e s'infuriano di fronte ai sotterfugi ed all'infedeltà di qualcuno che amavano. Una grossa parte del loro mondo è andata in fr4antumi. E' un disastro che non meritano e non riescono a capire come possa essere successo proprio a loro. Dicono di volere giustizia ma in realtà quello che vogliono è una vendetta. E sono loro gli unici ad uscirne sconfitti. Tensioni, frustrazioni,e un conto salato dall'avvocato.”
Questo è il brano di un romanzo e quello che parla è l'avvocato di un romanzo.
Eppure una parte di vero c'è sicuramente.

Anche se siamo giustificati, il rancore, la voglia di vendetta, ci procurano spesso solo ulteriori danni.
Gli avvocati scrupolosi lo sanno e quando consigliano la ricerca dell'accordo fanno i veri interessi del loro cliente.
Molto spesso però non vengono capiti perché l'odio ci impedisce di vedere la realtà.
Anche una causa su una cosa molto concreta come l'assegno di mantenimento può avere poco senso se è fatta solo per voglia di vendetta.

martedì 3 giugno 2014

Spetta l'assegno alla moglie che non si cerca il lavoro?

E' interessante la sentenza che ha deciso questo caso.
I coniugi, senza figli, si sono separati con addebito della separazione al marito.
La moglie è tornata a vivere con i genitori, definiti facoltosi.
Nei cinque anni successivi alla separazione risulta che la moglie non si sia cercata il lavoro.
La moglie è laureata in lingue (laurea che potrebbe garantire una facile occupazione), è ben inserita nell'ambiente sociale ed avrebbe quindi ottime opportunità di trovare lavoro. L'assenza dei figli la rende quindi anche libera di lavorare come voglia.
Sulla base di questa situazione, sia il Tribunale che la Corte d'Appello le hanno negato il diritto all'assegno.
La Corte di Cassazione (sentenza 12121/2004) le ha invece riconosciuto il diritto all'assegno.
Queste le parole usate dalla Suprema Corte:
 "Deve essere cassata la sentenza del giudice di merito che abbia negato il diritto della moglie a un assegno di mantenimento sul rilievo che questa, nel quinquennio successivo alla crisi coniugale, si sia sottratta all'impegno di cercare nuove fonti di reddito, nonostante la relativa facilità di reperirle, stanti l'ancora giovane età, le ottime condizioni di salute, la laurea in lingue, l'assenza di impegni familiari (per non aver avuto figli e per essere tornata a vivere nella facoltosa famiglia d'origine), il buon inserimento sociale. Nella specie, infatti, sussistono entrambi i presupposti essenziali dell'obbligo di mantenimento, ossia la non addebitabilità della separazione e la totale mancanza di redditi propri accertati, idonei a conservare il pur modesto, precedente tenore di vita e la inattività lavorativa del coniuge che richiede l'assegno può costituire circostanza idonea ad annullare l'altrui obbligo di versarlo solo se conseguente al rifiuto accertato di effettive e concrete, non meramente ipotetiche, opportunità di lavoro".
In pratica la Corte dice che non basta che la moglie abbia teoriche concrete possibilità di lavoro. Qualora dal punto di vista pratico ci siano i requisiti della mancanza di reddito, della situazione economica inferiore a quella del matrimonio,  la sproporzione di redditi con il marito, sussiste il diritto all'assegno. Secondo la Corte il coniuge per non farle avere l'assegno avrebbe dovuto dimostrare che concretamente la donna ha rifiutato delle offerte di lavoro.
Certamente qualcuno ha sottolineato che dal punto di vista pratico è difficile rifiutare delle offerte di lavoro se uno non le cerca. Probabilmente avrebbe dovuto attivarsi il marito per farle avere le offerte ma è improbabile se il marito non è titolare di un'azienda o non ha amici titolari di azienda.
Questo però è un'altro discorso che travalica la decisione della Cassazione.


sabato 31 maggio 2014

Spetta l'assegno di mantenimento al figlio specializzando in medicina?

 Il padre divorziato versa un assegno di mantenimento di € 450,00 mensili per la figlia. Questa è entrata in ospedale come specializzanda in medicina. Per questo percepisce un compenso di € 22.700,00 lordi annui.
Il padre ha ritenuto di non dover pagare l'assegno di mantenimento per la figlia. Il suo ragionamento era che la figlia percepoisce un reddito e che quindi non ha diritto all'assegno.
La Corte di Appello di Salerno.ha rigettato la domanda del padre: ha infatti ritenuto che il denaro percepito dalla figlia sia una borsa di studio e quindi non un reddito.

La Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza, (11414 del 22 maggio 2014) ha invece accolto il ricorso del padre, revocando l'assegno. 
Per la Suprema Corte, la natura di tale attività (art. 40 d.lgs 368/1999) va considerata un impegno a tempo pieno che assicura anche la facoltà dell'esercizio della libera professione intramoenia. Rileva anche che tale lavoro è soggetto a regime fiscale e contributivo.
Di conseguenza l'assegno a carico del padre va revocato nel momento in cui il figlio raggiunga uno status di autosufficienza economica.

venerdì 30 maggio 2014

La moglie che rifiuta di passare da part time a full time perde l'assegno di mantenimento del coniuge?

Il caso esaminato dalla Cassazione è questo: la moglie, in sede di determinazione dell'assegno divorzile, ha chiesto il mantenimento dell'assegno di € 1.800,00 mensili.
Il marito aveva chiesto la riduzione dell'assegno sul presupposto che la moglie (dipendente di una azienda che fa parte del suo gruppo) aveva rifiutato il passaggio dall'impiego part time a full time.
In altre parole diceva che non era giusto che lui continuasse a pagare quando la moglie, lavorando un po' di più, tutto il giorno, avrebbe potuto guadagnare di più. 
La Cassazione (sent. 9660/2014 del 6.5.2014, sez. VI civile) ha deciso rigettando la richiesta dell'uomo.
Ci è arrivata attraverso un particolare percorso logico.
La prima considerazione (fondamentale) è che il regime economico  di separazione non vincola quello di divorzio (Cass. sent. 5140/2011).
Applicando al caso concreto, significa che il tribunale del divorzio non era obbligato a tenere come dato di partenza € 1.800,00 mensili (assegno di separazione). Se fosse stato così la soluzione sarebbe stata diversa.
La donna, rifiutando il lavoro a tempo pieno, ha in effetti perso un possibile reddito superiore. Supponendo che la differenza di reddito fosse di € 800, sarebbe logico detrarre tale parte dall'assegno di separazione che diventerebbe di € 1.000,00 (1.800 - 800).
Applicando invece il principio della Cassazione, il tribunale in sede di divorzio ha legittimamente ritenuto che - anche con il passaggio al lavoro a tempo pieno - la differenza di reddito sarebbe rimasta elevata.
Dovendo quindi mantenere il tenore di vita avuto durante il matrimonio, vista la fortissima sproporzione tra i redditi dei coniugi, è giustificato non tenere affatto conto dell'aumento reddito che la moglie avrebbe avuto accettando l'aumento di orario.
L'esame di questa sentenza è utile anche per chiarire che per capire cosa ha veramente deciso la Cassazione non basta un esame veloce della massima, occorre seguire tutte le argomentazioni concretamente seguite. In altri casi concreti, secondo gli stessi principi, la Cassazione avrebbe potuto prendere una decisione diversa. Non sarebbe infatti la stessa cosa in caso di sproporzione tra i redditi minore o comunque redditi dei coniugi minori nel complesso.



giovedì 29 maggio 2014

Va pagato l'assegno di mantenimento alla moglie iscritta in un albo professionale?


Il giudice che deve determinare l'assegno di mantenimento divorzile, deve tenere conto della capacità di procurarsi reddito del coniuge debole.
In questo senso può essere importante l'iscrizione del richiedente l'assegno in un albo professionale.
Se ad esempio il coniuge debole (generalmente la moglie ma non sempre) è iscritta un albo professionale, è un architetto, bisogna pagare lo stesso l'assegno di mantenimento?
Si potrebbe infatti sostenere che essendo un architetto può ben procurarsi un reddito.
La Cassazione, con la sentenza della sezione VI civile n. 9493 del 30.4.2014, ha risolto un caso simile.
La moglie ha l'abilitazione professionale come istruttore di scuola guida.
Il tribunale le ha riconosciuto un assegno e la Corte d'Appello l'aveva ridotto ad € 400,00 mensili.
Il marito aveva impugnato la sentenza sostenendo che essendo la moglie abilitata alla professione di istruttore di scuola guida, aveva una capacità reddituale e quindi non doveva percepire l'assegno di mantenimento.
La Cassazione ha rigettato l'impugnazione.
Ha infatti ritenuto che l'abilitazione professionale sia un dato "formale" e che al di là di questo la moglie fosse iscritta negli elenchi dell'UPLMO come disoccupata.
In altri termini non è detto che chi sia iscritto in un albo professionale debba automaticamente guadagnare.
Per di più lo stesso marito aveva ammesso che durante il matrimonio non aveva lavorato.
La conclusione è stata che un'abilitazione (per esteso l'iscrizione in un albo professionale) sia solo un dato formale / teorico e di per se' non possa impedire la percezione dell'assegno; questo a fronte di altri elementi dimostranti lo stato di bisogno del coniuge debole.

domenica 25 maggio 2014

La moglie ha diritto all'aumento dell'assegno anche se il marito ha diminuito il reddito? Valgono le proprietà immobiliari?



L'assegno di mantenimento del coniuge, in sede di separazione, deve tendere ad assicurare la coniuge lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio.
In questa logica può non contare la diminuzione del reddito di uno dei coniugi.
La Cassazione ha emesso l'interessante sentenza n. 9658/2014 (sez. VI civile 6.5.2014).
Il marito era andato in pensione ed il suo reddito era gravemente diminuito.
La Corte d'Appello aveva determinato l'assegno mensile per moglie e figlia, nella misura di € 1.000,00 mensili.
Il marito aveva fatto ricorso in Cassazione,  sostenendo che l'assegno era eccessivo perchè la Corte d'Appello non avrebbe tenuto conto della diminuzione del suo reddito mensile.
La Cassazione ha confermato la sentenza precedente.
Secondo la Suprema Corte ha poca rilevanza il fatto che il reddito mensile del marito sia diminuito perchè egli è in possesso di notevoli proprietà immobiliari che potrebbe ben alienare in parte per mantenere moglie e figlia.
Si fa riferimento ad un palazzo del valore di € 76.300.000 e ad un terreno di € 8.600.000.
E' importante aver specificato il valore tenuto presente dalla Cassazione per non creare equivoci.
Non si potrebbe infatti, a parere dello scrivente, sostenere lo stesso quando si tratti di vendere un appartamento che è l'unica proprietà del resistente. 
Come altro spunto rilevo che colpisce come, in presenza di proprietà così ingenti, si discuta di un assegno di € 1.000,00 che appare quanto mai misero. 
Anche qui, senza riferimento al caso concreto, ci vorrebbe un equilibrio maggiore nell'affrontare i doveri derivanti da una separazione. Forse in questo caso sarebbe stata utile anche una mediazione familiare.

sabato 24 maggio 2014

Adeguamento ISTAT dell'assegno di mantenimento aprile 2014.

L'ISTAT, il 13 maggio 2014 ha pubblicato gli indici per il mese di aprile.
La variazione del mese di aprile 2014 rispetto a aprile 2013 è di +0,5 %.
Questo significa che se un assegno era a aprile 2013 di € 1.000, a aprile 2014 diventa (€ 1000/100*100,5) € 1.005,00.
In teoria quindi il costo della vita dovrebbe essere aumentato, in un anno, dello 0,5 %.
Per fare calcoli più veloci (anche per più anni precedenti) è comunque disponibile il foglio di calcolo in fondo a questa pagina.
I dati sono comunque ricavabili (con qualche difficoltà) dal sito www.istat.it . Bisognerà cercare i dati dell'indice dei prezzi dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

giovedì 22 maggio 2014

Ecco il testo del disegno di legge sul divorzio breve (2014).

Abbiamo già scritto che, in questi giorni, la Commissione Giustizia della Camera ha approvato un disegno di legge sul divorzio breve.
Di seguito metto il testo.
Ricordo che ora questa proposta dovrà essere approvata da entrambe le Camere; un disegno analogo è stato approvato nel 2012 ma è morto di consunzione.
La data prevista per la discussione è il 26 maggio ma ... è il giorno successivo le elezioni... 
Vedremo cosa accadrà.

Modifiche all'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di
presupposti per la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del
matrimonio.
C. 831 Amici, C. 892 Centemero, C. 1053 Moretti, C. 1288
Lello e C. 2200 Di Salvo.



PROPOSTA DI TESTO UNIFICATO
DEI RELATORI

8 aprile 2014

Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del
matrimonio nonché di comunione tra i coniugi

Art. 1.
 1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) del primo comma
dell'articolo 3 della legge 1o
 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, sono
apportate le seguenti modificazioni:
 a) al primo periodo le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta
comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale nella procedura di
separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in
consensuale.» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dal deposito della domanda
di separazione.»;
b) dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Nelle separazioni consensuali
dei coniugi, in assenza di figli minori, il termine di cui al periodo precedente è di
nove mesi».
Art. 2.
 1. All'articolo 191 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
 «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel
momento in cui, in sede di udienza presidenziale, il presidente autorizza i coniugi a
vivere separati».

Bonafede, C. 1938 Di

sabato 17 maggio 2014

Approvato dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati il divorzio breve. E' una bufala?

In questi giorni qualcuno suona la grancassa (anche a fini elettorali) perché la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha approvato il testo della legge sul divorzio c.d. breve.
In realtà il testo andrà poi approvato alla Camera. Da qui passerà al Senato e sarà discusso di nuovo.
Tanto per dare un'idea riporto sotto il testo del provvedimento che fu approvato nel 2012. Dal 2012 è rimasto lettera morta fino ad ora (2014) ma invece di andare avanti in pratica si è allo stesso punto.
Per quello che riguarda la durata, il nuovo testo prevede un anno invece che due come durata massima; è stato infatti abolito il riferimento ai figli minori.
Si è detto che l'abolizione è stata fatta per tutelare la parità dei figli. E' una bufala perché è di prima evidenza che (al di la della scelta legislativa) un bambino di 4 anni è diverso ed ha esigenze diverse rispetto ad un adulto di 30 anni...
Vedremo  che combineranno questa volta...
Chiudo riportando il commento fatto da un separato:"mi auguro che facciano

presto...non ce la faccio più... separato dal 2009, schiacciato dalla malagiustizia, denunciato falsamente di violenza in famiglia... BASTAAAAAAA voglio vivere... lo Stato mi sta uccidendo obbligandomi a mantenere una donna che ha abbandonato figli e casa..."
Con il divorzio "breve" nulla cambierà in situazioni come questa.

Riportiamo il testo del provvedimento del 2012 perchè non è ancora disponibile quello attuale.
Camera dei Deputati, Commissione Giustizia, proposta di legge 29 marzo 2012, n. C. 749-1556-2325-3248-A


TESTO
unificato della Commissione
Modifiche all'articolo 191 del codice civile e all'articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di scioglimento del matrimonio e della comunione tra i coniugiTesto in discussione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati dal 21 maggio 2012
Art. 1.
1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) del primo comma dell'articolo 3 dellalegge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) al primo periodo le parole: «tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «un anno»;
          b) dopo il primo periodo è inserito il seguente: «In caso di presenza di figli minori, il termine di cui al periodo precedente è di due anni».
Art. 2.
1. All'articolo 191 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui, in sede di udienza presidenziale, il presidente autorizza i coniugi a vivere separati».

lunedì 12 maggio 2014

Negato l'adeguamento dell'assegno di mantenimento al marito affetto da sclerosi multipla.

Una recente sentenza della Cassazione (4416 del 25.2.2014) ha deciso un caso emblematico.
Al di là della decisione concreta, da degli spunti importanti per altre situazioni. Vediamola.
Il marito ha agito chiedendo l'aumento dell'assegno di mantenimento.
Lo chiedeva perché affetto da sclerosi multipla e perché le sue condizioni si sarebbero aggravate dopo la separazione; l'aggravamento non gli avrebbe consentito di svolgere la professione medica, con conseguente sua forte riduzione reddito. Nello stesso tempo, a causa della malattia e di necessità di cure, i suoi bisogni economici sarebbero cresciuti.
La moglie, farmacista, ha controdedotto che anche la sua attività dava un reddito minore.
La Cassazione ha negato l'aumento (seguendo la Corte d'Appello).
C'è quindi chi ha interpretato la sentenza senza coglierne le sfumature.
Invero la Cassazione ha notato che la malattia era stata già segnalata in corso di separazione.
Sembra quindi che abbia negato l'aumento perché la malattia esisteva già e quindi non era il caso di modificare l'assegno visto che la sua esistenza aveva concorso a determinarlo.
In realtà non è esattamente così. 
La Cassazione ha respinto la domanda perché il ricorrente si era limitato a dire che aveva la sclerosi e che era peggiorata; lo aveva fatto senza dimostrare analiticamente il suo peggioramento e come questo peggioramento avesse inciso nelle sue condizioni di vita ed economiche.
Leggiamo le parole usate:
" Il ricorso appare privo di autosufficienza sia in ordine alla rappresentazione della, pretesamente, non valutata novità dei fatti legittimanti la revisione delle condizioni della separazione sia relativamente alla loro incidenza sulle condizioni economiche del ricorrente il quale non ha in alcun modo specificato in che modo il processo degenerativo abbia inciso sulle condizioni economiche esistenti al momento della separazione consensuale sia sotto il profilo della riduzione del reddito derivante dalla sua attività lavorativa sia sotto il profilo dell'incremento delle spese sostenute a causa della malattia. Su tali presupposti la richiesta di revisione assume il contenuto di una richiesta di rideterminazione pura e semplice dell'assegno di mantenimento e come tale essa deve considerarsi inammissibile."
Di conseguenza, rimane fermo il principio per cui il peggioramento di una malattia già denunciata all'epoca della separazione può costituire motivo per la modifica dell'assegno, a condizione che le condizioni di vita ed economiche siano concretamente peggiorate e che questo sia determinato.
Non basta in altri termini che una grave malattia come la sclerosi multipla abbia in generale un decorso sempre peggiorativo. Bisogna riferirsi al caso concreto.
Da questo "errore" del medico si possono ricavare utili insegnamenti.
Il primo è che qualora si presenti una situazione del genere occorrerà documentarla bene in sede di separazione, in modo tale che costituisca un punto fermo.
Il secondo è che in caso di richiesta di modifica di un assegno di mantenimento, bisognerà sempre essere molto precisi sia nell'indicare il cambiamento avvenuto (fatto nuovo o modifica di fatto esistente).
E' molto pericoloso sperare che un Magistrato (sia esso Tribunale o Cassazione) possa capire una situazione grave come quella della sclerosi multipla guardando al di là delle carte processuali.




venerdì 9 maggio 2014

Basta la ripresa della convivenza per far cessare l'assegno di mantenimento?

Per l'art. 157 del codice civile (riportato sotto) i coniugi separati possono far cessare lo stato di separazione con un apposito accordo o "con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione".
Si ritiene quindi comunemente che basti "rimettersi insieme" per far cessare la separazione. Di fatto non basta avere magari rapporti sessuali o stare insieme durante una vacanza, ad esempio. Occorre che ci sia un vero e proprio riprendere concordemente lo stato matrimoniale, sotto tutti gli aspetti.
In questo senso non sono validi ne' la semplice ripresa della convivenza, nè un mero "tentativo" durato pochi giorni.
La Cassazione (9492/2014 sez. VI civile,  del 30/4/2014 ) ha specificato che ove si affermi che la separazione è cessata ex art. 157 bisogna provare non solo la ripresa della convivenza ma anche la "ricostituzione del consortium vitae" tra i coniugi, vale a dire che intendono di nuovo fare vita in
comune, come coppia sposata.
Per la stessa sentenza non fa nemmeno cessare gli effetti della separazione un "esperimento" di ripresa del matrimonio.
Da questo, considerato che le eccezioni ex art. 157 c.c. possono far l'altare il diritto all'assegno di mantenimento, è opportuno che ripresa della convivenza o esperimenti o altro siano consacrati in scritture private redatte da un avvocato. Si potrà così cristallizzare a futura prova che cosa effettivamente si sta facendo e cosa non si sta facendo.
Art. 157 del codice civile.
"Cessazione degli effetti della separazione.
I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l'intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.
La separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione."

Addebito della separazione e cessazione assegno mantenimento. Quando uno è colpevole?

L'addebito della separazione ha per effetto l'impossibilità di percepire un assegno di mantenimento.
Il far "addebitare" il fallimento della propria separazione ha quindi una importanza anche economica, non solo orale.
Una ulteriore conseguenza dell'addebito è anche l'impossibilità di ereditare  dal coniuge non colpevole (come se si fosse già divorziati).
Dal punto di vista "economico" bisognerà valutare con il proprio legale, caso per caso, quando convenga questa procedura.
I comportamenti che possono causare l'addebito sono in linea generale quelli contrari ai doveri stabilit nell'art. 143 c.c.Si tratta dell'obbligo di fedeltà, asssistenza morale e materiale, collaborazione, coabitazione, contributo economico.
Comportamenti come il non vivcere insieme, il maltrattare, il tradire il coniuge, il far mancare i mezzi di sostentamento o la collaborazione materiale, possono far addebitare la separazione.
Ilo tradire è certamente causa di addebito, come lo è picchiare il coniuge.
La giurispruidenza ha però stabilito  un punto fondamentale: il Giudice dovrà valutare se il comportamento "trasgressivo" è intervenuto quando esisteva una situazione di tollerabilità della convivenza o meno.
Su questa linea le sentenze della Cassazione civile n. 8862/2012, 21245/2010 ed altre.
Per questo sarà lecito avere una relazione con un'altra persona quando non esistano rapporti sessuali da anni o magari il coniuge abbia a sua volta da tempo una relazione.
Non è nemmeno causa di addebito l'allontanarsi dalla casa coniugale quando non ci sia una serena ed appaganete intesa sessuale (Cass. civile sentenza 8773 del 31 maggio 2012).
In sostanza potranno anche ssere valutati comportamenti meno appariscenti come il mantenere la casa in disordine o i figli trascurati nel vetsire e nel mangiare o simili.
La Cassazione infatti fissaa dei principi generali che le corti di merito (Tribunale Corte d'Appello) dovranno poi applicare ai casi concreti.



domenica 4 maggio 2014

Che cosa è l'assegno di mantenimento negli ordini di protezione familiare?

La legge 154 del 2001 ha introdotto gli ordini di protezione familiare che prevedono anche un assegno di mantenimento.
In sintesi quando si verifichino comportamenti di abuso, maltrattamenti violenze a carico di un componente la famiglia (intesa in modo molto ampio, anche di fatto) la vittima si può risolvere al tribunale in modo semplice e veloce (in una prima fase anche senza avvocato).
Il giudice, ai sensi dell'art. 342 ter c.p.c. può emettere gli ordini di protezione.
Ordina al persecutore di cessare il suo comportamento dannoso e gli può ordinare di allontanarsi dal domicilio familiare e di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima.
Qualora a seguito di questo allontanamento la vittima ed il gruppo familiare vengano a trovarsi senza mezzo di sostentamento, il tribunale può ordinare che il persecutore versi un assegno di mantenimento; può ordinare anche che l'assegno di mantenimento sia versato dal datore di lavoro direttamente alla vittime. 
Questo assegno di mantenimento è simile a quello previsto in caso di separazione e divorzio.
La prima diversità è sotto l'aspetto temporale.
Questo assegno è previsto solo per la durata dell'ordine, quindi massimo un anno (anche se prorogabile per ragioni di particolare gravità). L'anno decorre dal giorno di esecuzione dell'ordine di protezione.
La logica di questo durata temporale è che in un anno la vittima può attivarsi per ricorrere a forma di tutela, anche economiche, ordinarie.
Invece in caso di separazione o divorzio, in caso di mancate modifiche, l'assegno è per sempre.
La seconda grossa differenza è che questo tipo di assegno può essere erogato anche per convivenze di fatto, anche omosessuali o a tutela di soggetti diversi da coniuge o figli (purché vittime) come i nonni, fratelli, cognati o altri conviventi maltrattati. 
Il primo ricorso si può presentare senza avvocato e questa è una ulteriore facilitazione - semplificazione.

sabato 3 maggio 2014

Se si è in comunione ci si può intestare da soli un immobile? Come?


Se si è in comunione legale dei beni è possibile intestarsi in modo esclusivo la proprietà di un immobile o bene mobile registrato?

Per bene mobile registrato si intende ad esempio un'automobile perché la sua proprietà risulta da pubblici registri.
Tale possibilità sembra in contrasto con le norme sulla comunione dei beni.
E' possibile ad una serie di condizioni.
L'art. 179 c.c. prevede che si possano acquistare beni immobili o mobili registrati, escludendoli dalla comunione. Rimarranno quindi di esclusiva proprietà di uno solo dei coniugi.
Occorre però che all'atto partecipi l'altro coniuge e che dichiari espressamente che tali beni sono di proprietà esclusiva dell'altro, per essere ad esempio beni necessari al suo lavoro, acquistati con i proventi di un'eredità o altro.
Ovviamente, in pratica, sono sorti molti problemi di interpretazione.
Che cosa accade per esempio quando un bene è peronale nella realtà (perché serve esclusivamente al lavoro di un coniuge) ma l'altro non partecipa all'atto? L'altro potrà sempre impugnare l'atto soprattutto per la sua assenza alla stipula.

La soluzione tecnicamente migliore è quella di iniziare un giudizio contro il coniuge che non vuole partecipare all'atto per ottenere che il Giudice dichiari che si tratti di un bene personale. poi con la sentenza si potrà andare dal notaio. Con i tempi della giustizia è una soluzione molto molto teorica... Soluzioni diverse potranno essere cercate nel caso concreto e questo è il compito dell'avvocato.

Per dare un'idea riportiamo sentenze, anche tra loro discordanti, sul tema (Cass. 8 febbraio 1993 n. 1556, Cass. 24 settembre 2004 n. 19250, Corte di Cassazione,  Sezione Unite, 28 ottobre 2009 n. 22755).
Di seguito trascriviamo l'art. 179 codice civile. 
Articolo 179. Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;

e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto (2647).
L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’Articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lett. c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.