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martedì 14 novembre 2017

Il padre che non versa l'assegno può perdere l'affidamento?


Per un avvocato che si occupa di diritto familiare è un classico: la madre viene e chiede se può impedire al padre che non versa l'assegno di vedere il figlio.
La risposta in generale è negativa.
Un conto sono gli adempimenti economici ed un conto il diritto del bambino di vedere comunque il padre.
Fino a qui il concetto generale.
Poi come al solito la realtà è varia e i concetti giuridici vanno adeguati alle singole realtà.
Fino a qualche anno fa i figli erano affidati ad uno solo dei genitori. L'altro genitore poteva e doveva intervenire solo per le decisioni di maggior rilievo.
La regola attuale è che i bambini siano affidati ad entrambi i genitori.
Se però uno dei due genitori non da prova di interessarsi realmente ai figli, la regola generale va disapplicata.
Il tribunale di Roma (sentenza n. 11735 del 6 giugno 2017) ha deciso un caso del genere.
Il padre non solo non versava l'assegno ma si disinteressava anche della vita del figlio, come l'essere presente ai saggi scolastici, accompagnarlo e seguirlo negli studi e nelle varie attività, vederlo ed avere contati con lui.
Il tribunale ha quindi revocato l'affidamento congiunto e stabilito che il figlio fosse affidato solo alla madre.
Questo non significa che il padre non potrà vederlo ma che le decisioni comuni e anche parte di quelle più importanti ora saranno prese dalla madre senza consultarlo.
Quindi rimane il concetto che il mancato pagamento dell'assegno (di per sè) non fa perdere il diritto di vedere i propri figli.
Ci sono poi da fare altre precisazioni.
Un conto è non versare per nulla l'assegno, magari per anni; un conto è non versarlo per intero per difficoltà oggettive che rendano impossibile l'esatto adempimento.
In caso di comportamenti gravi, a tutela dei figli, un genitore può sempre chiedere che sia revocata la potestà genitoriale dell'altro genitore. In questo modo si perderanno tutti i diritti genitoriali.

lunedì 4 settembre 2017

Le professoresse hanno diritto all'assegno di mantenimento di divorzio?

Un titolo del genere sembra assurdo (per come siamo abituati) ma è uno dei primi frutti della sentenza 11504/2017 della Corte di Cassazione.
Nella determinazione dell'assegno di divorzio non si tiene più conto della differenza economica dei redditi tra i coniugi e del tenore di vita avuto durante il matrimonio; conta solo (secondo questo nuovo orientamento giurisprudenziale, non legge) che chi chiede l'assegno abbia o no un lavoro stabile che gli permetta di vivere dignitosamente.
Il caso risolto dalla Cassazione con l'ordinanza n. 20525 del 29 agosto 2017, è questo.
Il marito è un uomo decisamente ricco con un reddito molto maggiore della moglie.
La moglie è una professoressa di ruolo.
La Cassazione le ha negato l'assegno di mantenimento in quanto ha un lavoro stabile che le permette di vivere dignitosamente.
Come ho già rilevato, questo orientamento è nel solco della nuova situazione sociale per cui separazione e divorzio non sono più fatti straordinari che vanno quasi "puniti" ma - purtroppo - quasi la condizione normale.
Concludo con due riflessioni.
La prima è che tutto questo si applica all'assegno di divorzio ma non a quello di separazione.
La seconda è che, a seguito del divorzio breve, è possibile avere il divorzio pochi mesi dopo la separazione; la conseguenza è che in pratica l'assegno di separazione può diventare una barzelletta.

sabato 2 settembre 2017

Adeguamento ISTAT dell'assegno di mantenimento per luglio 2017

L'ISTAT ha stabilito che il coefficiente di adeguamento per luglio  2017 sia +1 % rispetto a luglio 2016. 

Questo indice si applica per calcolare la variazione del mese di luglio 2017 rispetto a luglio 2016 (+1 %).

Se un assegno di mantenimento era a luglio 2016 era di € 1.000, a luglio 2017 diventerà (€ 1000/100*101 (cioè 100+1)) € 1.010.

Il mio studio può calcolare quanto sia variato ad oggi il tuo assegno rispetto la data iniziale per il costo di € 20 più oneri fiscali. Vedere in alto a destra e cliccare sul pulsante Paypal. 

I dati sono comunque ricavabili dal sito www.istat.it. Bisognerà cercare i dati dell'indice dei prezzi dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

giovedì 3 agosto 2017

Se un italiano risiede all'estero si applica la legge sulla convivenza?

I cittadini italiani residenti all'estero si possono iscrivere all'AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all'Estero).
L'AIRE è come se fosse un'unica città e conta circa 21.000.000 di italiani.
Due italiani residenti a Bangkok ed iscritti all'AIRE hanno chiesto al Comune di Milano la costituzione della convivenza di fatto ex lege n. 76/2016.
Il Comune di Milano ha negato l'iscrizione ritenendo che le norme sulla convivenza non possano valere per chi risiede all'estero.
Ha quindi richiesto il parere al Ministero dell'Interno.
Il Ministero ha risposto con il parere Ministero dell'Interno n. 231 del 6 febbraio 2017. 
Per il Ministero le norme sulla legge 76 del 2016 sulla convivenza si applicano a pieno titolo anche a chi è residente all'estero.
Ha quindi disposto che i due residenti a Bangkok debbano essere reggistrati nella scheda di famiglia anagrafica presso l'AIRE, in quanto iscritti nello stesso comune AIRE e residenti allo stesso indirizzo estero.
Siamo perfettamente d'accordo e da una parte ci meraviglia l'impreparazione, l'illogicità, del funzionario dell'anagrafe milanese e dall'altra siamo contenti che sia stata applicata la soluzione giusta, fin dal livello ministeriale, senza dover coinvolgere i tribunali.
Viene così impedita una illecita e brutta disparità di trattamento, una disparità che colpisce tanta gente che per vivere è dovuta andare all'estero o che comunque all'estero ci rappresenta.


giovedì 27 luglio 2017

Come si valuta la capacità di lavoro del coniuge? Come si prova?

Il Tribunale, quando determina l'assegno di mantenimento,  deve prendere in considerazione anche la capacità di lavoro del coniuge a favore del quale viene stabilito.
É importante capire come va considerata la sussistenza di questa capacità di lavoro.
La Corte di Cassazione (VI sezione civile, sottosezione 1 sentenza 20.7.2017 n. 17971) ha chiarito ancora questo punto.
Riportiamo uno stralcio della decisione:
"... la capacità lavorativa della sig.ra S. è infondata, poiché l'attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche."
La Corte ha citato anche il precedente della sentenza Cass. 6427/2016 (ed altre).
Questo significa che non basterà dire che la sig.ra X ha, per esempio, 30 anni e può lavorare.
Bisognerà motivare il più possibile concretamente la propria richiesta.
Si potrà ad esempio dire che la sig.ra X è una qualificata commessa ed in zona ci sono diverse richieste di lavoro (documentandole); oppure che ha rifiutato un lavoro concreto che le è stato offerto; oppure che è laureata in ... e specializzata in ... e per questo ci sono delle concrete possibilità di lavoro (che vanno indicate e provate).

giovedì 20 luglio 2017

Ma questa moglie va mantenuta o no? Vi mettete d'accordo?

Qualche tempo fa ho scritto in modo critico della sentenza n. 11504/2017 della Corte di Cassazione (http://www.assegno-mantenimento.com/2017/06/per-lassegno-divorzile-non-conta-piu-il.html).
Sono stati sprecati una marea di articoli per scrivere che questa sentenza significava un cambiamento epocale, alla moglie non spettava più l'assegno di divorzio in relazione al tenore di vita tenuto durante il matrimonio. Alla gente è arrivata anche la falsa notizia che l'assegno di divorzio non era più dovuto; tutti sappiamo infatti quanto può essere stravolta una notizia.
Ora è arrivata la prima doccia fredda, dimostrando ampiamente che un conto sono le leggi (quando sono chiare e scritte in italiano) ed un conto le sentenze.
Il Tribunale di Roma (sez. I civile, sentenza 11723 del 2017) è infatti di sapore ben diverso.
Il caso era questo: la moglie ha un reddito di € 850 mensili e paga un mutuo di € 500 mensili; il marito guadagna € 1.600 mensili ma ha le spese di una nuova famiglia.
Il mutuo pagato dalla moglie scadrà nel 2030 e la stessa riceve continui aiuti dai genitori per vivere.
Per il Tribunale di Roma, visto il ridottissimo reddito della donna, l'assegno le spetta.
L'assegno stesso dovrà certamente essere ridotto e contemperato con i redditi del marito ma dovrà essere pagato.
Nessuna importanza ha quindi per il Tribunale il riferimento della Cassazione al tenore di vita avuto durante il matrimonio.
Ripeto quindi ancora una volta che è facile curarsi in illusioni non considerando che il principio in una sentenza, anche di Cassazione, può sempre essere modificata e comunque prende origine da un caso concreto. Questo caso concreto potrà essere simile al vostro ma non identico. Anche se poi fosse identico, la Cassazione potrà sempre cambiare il principio giuridico.
É anche per questo motivo che non basta leggere qua e là su internet per avere notizie che possano evitare il ricorso al consulto di un avvocato qualificato e prudente.

mercoledì 19 luglio 2017

Adeguamento ISTAT dell'assegno di mantenimento per giugno 2017

L'ISTAT ha calcolato che il coefficiente di adeguamento per giugno 2017 sia - 0,1 % rispetto a giugno 2016. 

Questo indice si applica per calcolare la variazione del mese di giugno 2017 rispetto a giugno 2016 (- 0,1 %).

Se un assegno di mantenimento era a giugno 2016 di € 1.000, a giugno 2017 diventerà (€ 1000/100*99,9 (cioè 100-0,1)) € 999,00.

Il mio studio può calcolare quanto sia variato ad oggi il tuo assegno rispetto la data iniziale per il costo di € 20 più oneri fiscali. Vedere in alto a destra e cliccare sul pulsante Paypal. 


I dati sono comunque ricavabili dal sito www.istat.it. Bisognerà cercare i dati dell'indice dei prezzi dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

martedì 11 luglio 2017

Adeguamento Istat maggio 2017 dell'assegno di mantenimento



L'ISTAT ha calcolato che il coefficiente di adeguamento per maggio 2017 sia + 1,4 % rispetto a maggio 2016. 

Questo indice si applica per calcolare la variazione del mese di maggio 2017 rispetto a maggio 2016 (+  1,4 %).

Se un assegno di mantenimento era a maggio 2016 di € 1.000, a maggio 2017 diventerà (€ 1000/100*101,4 (cioè 100+1,4)) € 1014.

Il mio studio può calcolare quanto sia variato ad oggi l'assegno rispetto la data iniziale per il costo di € 20 più oneri fiscali. Vedere in alto a destra e cliccare sul pulsante Paypal. 


I dati sono comunque ricavabili (con qualche difficoltà) dal sito www.istat.it. Bisognerà cercare i dati dell'indice dei prezzi dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

giovedì 22 giugno 2017

Per l'assegno divorzile non conta più il tenore di vita?

Secondo il concetto applicato fino ad oggi, in caso di divorzio, il coniuge più debole aveva il diritto di mantenere lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio. In pratica bastava essere sposati per un pò con il Berlusconi di turno per poi avere un super reddito tutta la vita.
Come ho osservato altre volte questo concetto è collegato a quella che era la famiglia molti decenni fa. Poteva essere infatti giusto tutelare il coniuge più debole in un contesto in cui una separazione (peggio un divorzio) era un qualcosa di straordinario. Per di più nella maggior parte dei nuclei familiari la moglie era casalinga: con la separazione / divorzio perdeva spesso la capacità di vivere dignitosamente.
Oggi i rapporti patrimoniali sono cambiati. I coniugi lavorano entrambi, le donne hanno accesso a praticamente tutti i lavori, i divorzi che prima erano eccezione sono diventati ora la normalità.  Tutto questo impone un cambiamento.
Nelle ultime settimane ha fatto molto parlare una sentenza rivoluzionaria della Corte di Cassazione (sez. I, sentenza 11504 del 10.5.2017).
Salvo alcune distinzioni ultime di altre fondamentali sentenze (11490/1990 Sezioni Unite, 2546/2014) la decisione 11504/2017 ha levato importanza al criterio del mantenimento del tenore di vita tenuto durante il matrimonio.
Ha infatti stabilito che il giudice dovrà uniformarsi al criterio di autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi. In pratica ha diritto all'assegno solo chi non ha un reddito e non la possibilità di procurarselo. 
Il giudice dovrà valutare l'autosufficienza economica del coniuge che richiede l'assegno, secondo questi parametri:

  1. l'esistenza di redditi, siano essi di qualsiasi tipo;
  2. la disponibilità di una casa di abitazione;
  3. la capacità di lavorare;
  4. l'esistenza di proprietà immobiliari e mobiliari.

 Solo qualora non esista di conseguenza l'autosufficienza economica potrà subentrare l'altro coniuge, con l'assegno di mantenimento. La differenza con prima è che secondo il vecchio criterio aveva diritto al mantenimento anche un coniuge con un reddito magari di € 5.000 mensili; l'unica condizione era che l'altro coniuge fosse molto più ricco.
Per di più questo assegno di mantenimento non dovrà tendere ad assicurare lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio.
Una prima fondamentale riflessione (che molti commentatori non fanno) è che NON è una nuova legge ma solo una nuova interpretazione della stessa legge. Una interpretazione può cambiare in qualsiasi momento (come è cambiata in passato). Per cambiare veramente le cose occorrerebbe una nuova legge ma tutti sappiamo che i politici hanno ben altro da fare...
Una ulteriore riflessione è che questa nuova interpretazione sul tenore di vita non tocca affatto la situazione della maggior parte delle coppie. Se la coppia viveva con un solo stipendio (magari buono) non c'è in pratica differenza tra un normale assegno di mantenimento e quello tendente a mantenere lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio.
Il criterio ha importanza per le coppie con un ricco tenore di vita ed una sproporzione notevole  dei redditi. Quindi se non sei ricco questa nuova sentenza non ti da nulla ... tranquillo ... è tutto come prima...  :)

domenica 26 marzo 2017

Marito impotente o moglie sterile: matrimonio nullo? Assegno mantenimento?

La Cassazione ha stabilito che l'incapacità di avere figli o quella di avere rapporti sessuali possano far annullare il matrimonio. In questi casi non spetta l'assegno di mantenimento. La richiesta di annullamento può anche avere questo scopo.
Carenze di questo tipo sono infatti tali da danneggiare il diritto fondamentale del coniuge a realizzarsi pienamente nella famiglia, nella società, come genitore. 
E' in gioco la tutela costituzionale della famiglia con gli artt. 2, 3, 29  e 30 della Costituzione.
"L'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute..." 
In altri termini il matrimonio può essere annullato a queste condizioni: 
1) al momento del matrimonio doveva già esserci il problema; 
2) l'altro coniuge doveva ignorare lo stato di malattia, l'impossibilità di avere rapporti sessuali o di procreare, sterilità (in latino impotenzia coendi e impotentia generandi); 
3) dopo la scoperta dell'errore non deve esserci stata convivenza per oltre un anno; 
4) l'errore deve essere tale che se l'altro coniuge lo avesse saputo, non si sarebbe sposato. 
E' fondamentale segnalare che il coniuge che - per esempio - non possa avere figli (marito o moglie) non è necessario che sappia della sua malattia: basta che questa esista. Non si parla infatti di colpevolezza o meno, di imbrogli, può anche esserci la buona fede. Quello che è importante è l'ignoranza, l'errore su una circostanza che avrebbe reso inaccettabile il matrimonio per l'altro coniuge. 
Veniamo a qualche caso concreto. 
Sentenza Cassazione civile, sez. VI (sottosezione I), n. 3742 del 13 febbraio 2017. 
La moglie si era rivolta al Tribunale di Palermo per ottenere l'annullamento del matrimonio. 
Sosteneva si essere stata ingannata in quanto il marito era affetto da orchide epididimite; questa malattia avrebbe impedito la capacità di procreare del marito. 
La donna affermava che non si sarebbe mai sposata se fosse stata a conoscenza di un problema del genere. Sia il tribunale che la Corte d'Appello le davano torto sulla base della perizia medica d'ufficio. In questa era risultato che la malattia era abitualmente curabile con antibiotici, con piena ripresa della potenzialità generativa. Il marito era risultato comunque malato solo durante il matrimonio e non c'era prova che lo fosse anche al momento della sua celebrazione. 
L'avvocato della donna, nel ricorso per cassazione, aveva sostenuto che non era importante tanto la malattia in sè quanto l'effetto che aveva avuto sul coniuge inconsapevole. La Corte di Cassazione, riteneva che la Corte d'Appello di Palermo avesse motivato correttamente la sua decisione sulla base della perizia medica. 
Affermava altresì che la moglie avrebbe dovuto provare l'esistenza della malattia al momento della celebrazione del matrimonio e poi al giudice sarebbe toccato stabilire quanto la malattia incidesse sulle legittime aspettative matrimoniali. 
Cassazione civile 13 gennaio 2012, sent. n. 386, sez. 1. 
Il marito aveva dovuto fare un trattamento farmaceutico pesante che dopo il matrimonio aveva provocato una "azospermia" cioè una incapacità di procreare per mancanza di spermatozoi. 
Con una lunga cura la malattia era curabile tanto è vero che - dopo la separazione - l'uomo aveva avuto due figlie con un'altra donna
La Corte d'Appello e la Cassazione gli davano torto, condannandolo anche al risarcimento dei danni
La Cassazione è arrivata a questa decisione perchè il marito, al momento del matrimonio, avrebbe dovuto dire alla promessa sposa che stava facendo una cura medica che avrebbe potuto avere effetti sulla sua capacità di generare figli e che - se pur curabile - avrebbe comunque provocato questa incapacità per un lungo periodo. 
La Cassazione ha infatti ritenuto che il fatto di non poter generare per un lungo periodo ha impedito la possibilità di avere figli per un lasso di tempo comunque significativo ed inaccettabile. 
Cassazione civile sent. 10 maggio 2005, n. 9801. 
In questo caso la Suprema Corte ha dichiarato nullo il matrimonio e condannato il marito al risarcimento danni perchè aveva taciuto alla sposa la sua incapacità di avere r


apporti sessuali.
Come si vede quindi la questione non è semplice nei casi concreti.
Trascrivo qui l'art. 122 del codice civile:
"Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato estorto con violenza  o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo.
Il matrimonio può altresì essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull'identità della persona  o di errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge.
L'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l'errore riguardi:
1) l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di un'anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale;
2) l'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione  prima della celebrazione del matrimonio. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile;
3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale;
4) la circostanza che l'altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile;
5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell'articolo 233, se la gravidanza è stata portata a termine.
L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore."