Abbiamo già toccato altre volte l'argomento relativo all'importanza o meno dell'infedeltà per l'addebito della separazione.
Secondo la concezione comune, se si scopre l'infedeltà di un coniuge a questi va addebitata la separazione.
L'addebito della separazione ha una importanza fondamentale perchè il colpevole (per adoperare una vecchia terminologia solo per chiarezza) non ha diritto all'assegno di mantenimento ma solo agli alimenti in caso di bisogno.
Del resto la sola esistenza dell'infedeltà non significa che il "traditore/traditrice" sia il vero responsabile del fallimento del matrimonio.
Basterà ad esempio leggere questo mio post lei-non-vuole-fare-sesso-con-il-marito : in questo caso l'avere l'amante è stato in pratica considerato un diritto.
In questo particolare campo si è inserita la sentenza n. 10823 del 25 maggio 2016 (Cassazione, sezione I civile).
Per la Suprema Corte il dovere di fedeltà è un obbligo fondamentale stabilito dall'art. 143 c.c., come quello della coabitazione o quello di asssistenza.
La conseguenza di questo rilievo è che qualora sia accertata una infedeltà si presume - fino a prova contraria - che la colpa sia dell'infedele.
Questi potrà però superare questa presunzione dimostrando che c'è un fatto a monte della sua infedeltà che la giustifica o la rende irrilevante.
Per fare un altro esempio che senso avrebbe addebitare la separazione alla moglie che ha avuto una storia dopo anni di violenze?
E chi se la sentirebbe di condannare un coniuge che abbia discretamente dei rapporti fuorti dal matrimonio quando il marito / moglie non possa avere rapporti da anni magari per una malattia?
I casi possono essere infiniti e dovrà essere la prudenza del magistrato a stabilire o meno se quella particolare infedeltà sia stata tale da mettere in crisi definitiva quel matrimonio.
La conseguenza di questo rilievo è che in caso di infedentenza n. 10823 del 25 maggio 2016:
Sentenza n. 10823 del 25 maggio 2016: