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domenica 26 marzo 2017

Marito impotente o moglie sterile: matrimonio nullo? Assegno mantenimento?

La Cassazione ha stabilito che l'incapacità di avere figli o quella di avere rapporti sessuali possano far annullare il matrimonio. In questi casi non spetta l'assegno di mantenimento. La richiesta di annullamento può anche avere questo scopo.
Carenze di questo tipo sono infatti tali da danneggiare il diritto fondamentale del coniuge a realizzarsi pienamente nella famiglia, nella società, come genitore. 
E' in gioco la tutela costituzionale della famiglia con gli artt. 2, 3, 29  e 30 della Costituzione.
"L'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute..." 
In altri termini il matrimonio può essere annullato a queste condizioni: 
1) al momento del matrimonio doveva già esserci il problema; 
2) l'altro coniuge doveva ignorare lo stato di malattia, l'impossibilità di avere rapporti sessuali o di procreare, sterilità (in latino impotenzia coendi e impotentia generandi); 
3) dopo la scoperta dell'errore non deve esserci stata convivenza per oltre un anno; 
4) l'errore deve essere tale che se l'altro coniuge lo avesse saputo, non si sarebbe sposato. 
E' fondamentale segnalare che il coniuge che - per esempio - non possa avere figli (marito o moglie) non è necessario che sappia della sua malattia: basta che questa esista. Non si parla infatti di colpevolezza o meno, di imbrogli, può anche esserci la buona fede. Quello che è importante è l'ignoranza, l'errore su una circostanza che avrebbe reso inaccettabile il matrimonio per l'altro coniuge. 
Veniamo a qualche caso concreto. 
Sentenza Cassazione civile, sez. VI (sottosezione I), n. 3742 del 13 febbraio 2017. 
La moglie si era rivolta al Tribunale di Palermo per ottenere l'annullamento del matrimonio. 
Sosteneva si essere stata ingannata in quanto il marito era affetto da orchide epididimite; questa malattia avrebbe impedito la capacità di procreare del marito. 
La donna affermava che non si sarebbe mai sposata se fosse stata a conoscenza di un problema del genere. Sia il tribunale che la Corte d'Appello le davano torto sulla base della perizia medica d'ufficio. In questa era risultato che la malattia era abitualmente curabile con antibiotici, con piena ripresa della potenzialità generativa. Il marito era risultato comunque malato solo durante il matrimonio e non c'era prova che lo fosse anche al momento della sua celebrazione. 
L'avvocato della donna, nel ricorso per cassazione, aveva sostenuto che non era importante tanto la malattia in sè quanto l'effetto che aveva avuto sul coniuge inconsapevole. La Corte di Cassazione, riteneva che la Corte d'Appello di Palermo avesse motivato correttamente la sua decisione sulla base della perizia medica. 
Affermava altresì che la moglie avrebbe dovuto provare l'esistenza della malattia al momento della celebrazione del matrimonio e poi al giudice sarebbe toccato stabilire quanto la malattia incidesse sulle legittime aspettative matrimoniali. 
Cassazione civile 13 gennaio 2012, sent. n. 386, sez. 1. 
Il marito aveva dovuto fare un trattamento farmaceutico pesante che dopo il matrimonio aveva provocato una "azospermia" cioè una incapacità di procreare per mancanza di spermatozoi. 
Con una lunga cura la malattia era curabile tanto è vero che - dopo la separazione - l'uomo aveva avuto due figlie con un'altra donna
La Corte d'Appello e la Cassazione gli davano torto, condannandolo anche al risarcimento dei danni
La Cassazione è arrivata a questa decisione perchè il marito, al momento del matrimonio, avrebbe dovuto dire alla promessa sposa che stava facendo una cura medica che avrebbe potuto avere effetti sulla sua capacità di generare figli e che - se pur curabile - avrebbe comunque provocato questa incapacità per un lungo periodo. 
La Cassazione ha infatti ritenuto che il fatto di non poter generare per un lungo periodo ha impedito la possibilità di avere figli per un lasso di tempo comunque significativo ed inaccettabile. 
Cassazione civile sent. 10 maggio 2005, n. 9801. 
In questo caso la Suprema Corte ha dichiarato nullo il matrimonio e condannato il marito al risarcimento danni perchè aveva taciuto alla sposa la sua incapacità di avere r


apporti sessuali.
Come si vede quindi la questione non è semplice nei casi concreti.
Trascrivo qui l'art. 122 del codice civile:
"Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato estorto con violenza  o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo.
Il matrimonio può altresì essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull'identità della persona  o di errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge.
L'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l'errore riguardi:
1) l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di un'anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale;
2) l'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione  prima della celebrazione del matrimonio. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile;
3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale;
4) la circostanza che l'altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile;
5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell'articolo 233, se la gravidanza è stata portata a termine.
L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore."

giovedì 2 marzo 2017

ATTENZIONE: accordi di separazione di cui non fidarsi ...

Qualche volta anche un bell'accordo chiaro, firmato davanti a giudici ed avvocati non vale nulla. E' accaduto per una clausoladi separazione consensuale sulle spese della ex casa coniugale.
I coniugi, separandosi, avevano stabilito che la casa (di proprietà comune) fosse assegnata alla moglie. Era stato firmato un accordo per il quale il marito avrebbe dovuto pagare solo le spese condominiali straordinarie.
La moglie ha invece chiesto il rimborso di quanto speso per la sistemazione del giardino e la sostituzione della porta basculante del box.
La Cassazione civile  (sentenza sez. I, 2195 del 4 febbraio 2016) ha deciso che il marito debba pagare nonostante l'accordo contrario.
Il marito, sicuro dell'accordo è arrivato fino in Cassazione per poi prendere una bella botta, con spese legali molto superiori a quanto voleva la moglie.
Perchè la Cassazione ha deciso così?
Il tribunale aveva accertato che era necessario sostituire la porta del box e delle piante erano state tagliate perché potevano cadere sulle auto.
Secondo la Corte di Cassazione l'accordo sulle spese straordinarie condominiali non esclude il pagamento delle spese di conservazione dell'immobile che hanno natura nettamente diversa.
Rimane il fatto che il marito con la firma di quell'accordo pensava di dover pagare solo una categoria di spese e non altre!
Massima prudenza, della persona e dell'avvocato, quando si firma. L'accordo più chiaro può valere nei fatti molto poco.

Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 2195 del 4 febbraio 2016



Ragioni in fatto e in diritto della decisione
1.- Riformando la decisione del giudice di pace, il Tribunale di Foggia, con la decisione impugnata (depositata in data 6.5.2011) ha condannato D.G. al pagamento in favore di R.C. - coniuge separato del convenuto - della somma di Euro 2.040,00, oltre interessi, a titolo di rimborso di spese straordinarie sostenute per la sistemazione del giardino e la sostituzione della basculante del box dell'appartamento comune, assegnato alla moglie in sede di separazione consensuale omologata.
Secondo il tribunale le condizioni di separazione (che limitavano l'obbligo a carico del marito solo per le spese condominiali straordinarie) erano state previste per disciplinare i rapporti tra i coniugi e i figli mentre non incidevano sull'applicabilità nella concreta fattispecie dell'art. 1110 c.c. in relazione al diritto al rimborso del partecipante che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell'amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune.
Contro la sentenza del tribunale il convenuto ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso l'intimata.
2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 156, 158, 1102, 1110, 1173 e 1322 c.c. Lamenta che il giudice del merito non abbia tenuto conto delle condizioni di separazione che prevedevano, a carico del ricorrente, “il pagamento proquota solo delle spese condominiali straordinarie, degli oneri fiscali, nonché dei tributi e tasse che gravano su detto immobile”. Le parti, dunque, avevano consensualmente e legittimamente convenuto l'esclusione di qualsiasi altro obbligo di contribuzione relativo all'immobile da parte del ricorrente, così come consentito dall'art. 158 c.c., in deroga all'art. 1110 c.c..
2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 175, 208 c.p.c. e 104 disp. Att. c.p.c.. Deduce che erroneamente il tribunale avrebbe ammesso ed escusso come teste la figlia D.M. , posto che l'attrice era decaduta dall'ammissione fatta dal giudice di pace, non avendo notificato (pur in tal senso onerata dal giudice di pace) il provvedimento emesso fuori udienza con il quale era stato integrato il provvedimento di ammissione.
2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1102, 1110 c.c. e 115 c.p.c. nonché vizio di motivazione, lamentando che erroneamente sia stata ritenuta la sua "trascuranza" sui lavori da eseguire, posto che non era stato tempestivamente avvisato della necessità dei lavori e che i lavori eseguiti nel giardino erano diversi da quelli preventivati.
2.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta natura di spese conservative di quelle eseguite dall'attrice, trattandosi, in realtà, di "migliorie".
3.- Osserva la Corte che i motivi di ricorso - là dove non sono inammissibili perché veicolano censure in fatto non deducibili in sede di legittimità - sono infondati perché il giudice del merito ha correttamente applicato il principio per il quale in tema di spese relative alle parti comuni di un bene, come l'obbligo di partecipare ad esse incombe su tutti i comunisti in quanto appartenenti alla comunione ed in funzione delle utilità che la cosa comune deve a ciascuno di essi garantire, così il diritto al rimborso "pro quota" delle spese necessarie per consentire l'utilizzazione del bene comune secondo la sua destinazione spetta al partecipante alla comunione che le abbia anticipate per gli altri in forza della previsione dell'art. 1110 cod. civ., le cui prescrizioni debbono ritenersi applicabili, oltre che a quelle per la conservazione, anche alle spese necessarie perché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l'utilità sua propria secondo la peculiare destinazione impressale (Sez. 2, Sentenza n. 12568 del 27/08/2002). Invero, le spese per la conservazione, nel caso di inattività degli altri comproprietari, da accertare in fatto, possono essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della cosa, cui egli stesso e tutti gli altri hanno un oggettivo interesse, e di esse può essere chiesto il rimborso (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 11747 del 01/08/2003; Sez. 2, Sentenza n. 253 del 08/01/2013).
La natura necessaria delle spese è stata accertata dal giudice del merito con apprezzamento in fatto incensurabile in questa sede (sostituzione della serranda del box, rotta a seguito di tentativo di furto e taglio degli alberi che stavano rovinando sulle autovetture).
Peraltro, come ha ben evidenziato il tribunale - pure alla luce di un accertamento in fatto non adeguatamente censurato circa l'interpretazione delle condizioni della separazione consensuale - altro sono le spese condominiali straordinarie rispetto a quelle di conservazione ex art. 1110 c.c., di cui il ricorrente è tenuto a corrispondere la propria quota in virtù della comproprietà dell'immobile. Quanto alla dedotta decadenza dall'ammissione del teste D.M. , correttamente il tribunale ha evidenziato che il giudice di pace non poteva far ricadere sull'attrice le conseguenze della propria precedente omissione (pretermissione della teste tempestivamente indicata e successiva integrazione del provvedimento su istanza dell'attrice).
Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza.
 
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

AvvocatoAndreani.it Risorse Legali - Articolo originale: Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 2195 del 4 febbraio 2016



Ragioni in fatto e in diritto della decisione
1.- Riformando la decisione del giudice di pace, il Tribunale di Foggia, con la decisione impugnata (depositata in data 6.5.2011) ha condannato D.G. al pagamento in favore di R.C. - coniuge separato del convenuto - della somma di Euro 2.040,00, oltre interessi, a titolo di rimborso di spese straordinarie sostenute per la sistemazione del giardino e la sostituzione della basculante del box dell'appartamento comune, assegnato alla moglie in sede di separazione consensuale omologata.
Secondo il tribunale le condizioni di separazione (che limitavano l'obbligo a carico del marito solo per le spese condominiali straordinarie) erano state previste per disciplinare i rapporti tra i coniugi e i figli mentre non incidevano sull'applicabilità nella concreta fattispecie dell'art. 1110 c.c. in relazione al diritto al rimborso del partecipante che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell'amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune.
Contro la sentenza del tribunale il convenuto ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso l'intimata.
2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 156, 158, 1102, 1110, 1173 e 1322 c.c. Lamenta che il giudice del merito non abbia tenuto conto delle condizioni di separazione che prevedevano, a carico del ricorrente, “il pagamento proquota solo delle spese condominiali straordinarie, degli oneri fiscali, nonché dei tributi e tasse che gravano su detto immobile”. Le parti, dunque, avevano consensualmente e legittimamente convenuto l'esclusione di qualsiasi altro obbligo di contribuzione relativo all'immobile da parte del ricorrente, così come consentito dall'art. 158 c.c., in deroga all'art. 1110 c.c..
2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 175, 208 c.p.c. e 104 disp. Att. c.p.c.. Deduce che erroneamente il tribunale avrebbe ammesso ed escusso come teste la figlia D.M. , posto che l'attrice era decaduta dall'ammissione fatta dal giudice di pace, non avendo notificato (pur in tal senso onerata dal giudice di pace) il provvedimento emesso fuori udienza con il quale era stato integrato il provvedimento di ammissione.
2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1102, 1110 c.c. e 115 c.p.c. nonché vizio di motivazione, lamentando che erroneamente sia stata ritenuta la sua "trascuranza" sui lavori da eseguire, posto che non era stato tempestivamente avvisato della necessità dei lavori e che i lavori eseguiti nel giardino erano diversi da quelli preventivati.
2.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta natura di spese conservative di quelle eseguite dall'attrice, trattandosi, in realtà, di "migliorie".
3.- Osserva la Corte che i motivi di ricorso - là dove non sono inammissibili perché veicolano censure in fatto non deducibili in sede di legittimità - sono infondati perché il giudice del merito ha correttamente applicato il principio per il quale in tema di spese relative alle parti comuni di un bene, come l'obbligo di partecipare ad esse incombe su tutti i comunisti in quanto appartenenti alla comunione ed in funzione delle utilità che la cosa comune deve a ciascuno di essi garantire, così il diritto al rimborso "pro quota" delle spese necessarie per consentire l'utilizzazione del bene comune secondo la sua destinazione spetta al partecipante alla comunione che le abbia anticipate per gli altri in forza della previsione dell'art. 1110 cod. civ., le cui prescrizioni debbono ritenersi applicabili, oltre che a quelle per la conservazione, anche alle spese necessarie perché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l'utilità sua propria secondo la peculiare destinazione impressale (Sez. 2, Sentenza n. 12568 del 27/08/2002). Invero, le spese per la conservazione, nel caso di inattività degli altri comproprietari, da accertare in fatto, possono essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della cosa, cui egli stesso e tutti gli altri hanno un oggettivo interesse, e di esse può essere chiesto il rimborso (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 11747 del 01/08/2003; Sez. 2, Sentenza n. 253 del 08/01/2013).
La natura necessaria delle spese è stata accertata dal giudice del merito con apprezzamento in fatto incensurabile in questa sede (sostituzione della serranda del box, rotta a seguito di tentativo di furto e taglio degli alberi che stavano rovinando sulle autovetture).
Peraltro, come ha ben evidenziato il tribunale - pure alla luce di un accertamento in fatto non adeguatamente censurato circa l'interpretazione delle condizioni della separazione consensuale - altro sono le spese condominiali straordinarie rispetto a quelle di conservazione ex art. 1110 c.c., di cui il ricorrente è tenuto a corrispondere la propria quota in virtù della comproprietà dell'immobile. Quanto alla dedotta decadenza dall'ammissione del teste D.M. , correttamente il tribunale ha evidenziato che il giudice di pace non poteva far ricadere sull'attrice le conseguenze della propria precedente omissione (pretermissione della teste tempestivamente indicata e successiva integrazione del provvedimento su istanza dell'attrice).
Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza.
 
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

AvvocatoAndreani.it Risorse Legali - Articolo originale: Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 2195 del 4 febbraio 2016