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sabato 31 maggio 2014

Spetta l'assegno di mantenimento al figlio specializzando in medicina?

 Il padre divorziato versa un assegno di mantenimento di € 450,00 mensili per la figlia. Questa è entrata in ospedale come specializzanda in medicina. Per questo percepisce un compenso di € 22.700,00 lordi annui.
Il padre ha ritenuto di non dover pagare l'assegno di mantenimento per la figlia. Il suo ragionamento era che la figlia percepoisce un reddito e che quindi non ha diritto all'assegno.
La Corte di Appello di Salerno.ha rigettato la domanda del padre: ha infatti ritenuto che il denaro percepito dalla figlia sia una borsa di studio e quindi non un reddito.

La Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza, (11414 del 22 maggio 2014) ha invece accolto il ricorso del padre, revocando l'assegno. 
Per la Suprema Corte, la natura di tale attività (art. 40 d.lgs 368/1999) va considerata un impegno a tempo pieno che assicura anche la facoltà dell'esercizio della libera professione intramoenia. Rileva anche che tale lavoro è soggetto a regime fiscale e contributivo.
Di conseguenza l'assegno a carico del padre va revocato nel momento in cui il figlio raggiunga uno status di autosufficienza economica.

venerdì 30 maggio 2014

La moglie che rifiuta di passare da part time a full time perde l'assegno di mantenimento del coniuge?

Il caso esaminato dalla Cassazione è questo: la moglie, in sede di determinazione dell'assegno divorzile, ha chiesto il mantenimento dell'assegno di € 1.800,00 mensili.
Il marito aveva chiesto la riduzione dell'assegno sul presupposto che la moglie (dipendente di una azienda che fa parte del suo gruppo) aveva rifiutato il passaggio dall'impiego part time a full time.
In altre parole diceva che non era giusto che lui continuasse a pagare quando la moglie, lavorando un po' di più, tutto il giorno, avrebbe potuto guadagnare di più. 
La Cassazione (sent. 9660/2014 del 6.5.2014, sez. VI civile) ha deciso rigettando la richiesta dell'uomo.
Ci è arrivata attraverso un particolare percorso logico.
La prima considerazione (fondamentale) è che il regime economico  di separazione non vincola quello di divorzio (Cass. sent. 5140/2011).
Applicando al caso concreto, significa che il tribunale del divorzio non era obbligato a tenere come dato di partenza € 1.800,00 mensili (assegno di separazione). Se fosse stato così la soluzione sarebbe stata diversa.
La donna, rifiutando il lavoro a tempo pieno, ha in effetti perso un possibile reddito superiore. Supponendo che la differenza di reddito fosse di € 800, sarebbe logico detrarre tale parte dall'assegno di separazione che diventerebbe di € 1.000,00 (1.800 - 800).
Applicando invece il principio della Cassazione, il tribunale in sede di divorzio ha legittimamente ritenuto che - anche con il passaggio al lavoro a tempo pieno - la differenza di reddito sarebbe rimasta elevata.
Dovendo quindi mantenere il tenore di vita avuto durante il matrimonio, vista la fortissima sproporzione tra i redditi dei coniugi, è giustificato non tenere affatto conto dell'aumento reddito che la moglie avrebbe avuto accettando l'aumento di orario.
L'esame di questa sentenza è utile anche per chiarire che per capire cosa ha veramente deciso la Cassazione non basta un esame veloce della massima, occorre seguire tutte le argomentazioni concretamente seguite. In altri casi concreti, secondo gli stessi principi, la Cassazione avrebbe potuto prendere una decisione diversa. Non sarebbe infatti la stessa cosa in caso di sproporzione tra i redditi minore o comunque redditi dei coniugi minori nel complesso.



giovedì 29 maggio 2014

Va pagato l'assegno di mantenimento alla moglie iscritta in un albo professionale?


Il giudice che deve determinare l'assegno di mantenimento divorzile, deve tenere conto della capacità di procurarsi reddito del coniuge debole.
In questo senso può essere importante l'iscrizione del richiedente l'assegno in un albo professionale.
Se ad esempio il coniuge debole (generalmente la moglie ma non sempre) è iscritta un albo professionale, è un architetto, bisogna pagare lo stesso l'assegno di mantenimento?
Si potrebbe infatti sostenere che essendo un architetto può ben procurarsi un reddito.
La Cassazione, con la sentenza della sezione VI civile n. 9493 del 30.4.2014, ha risolto un caso simile.
La moglie ha l'abilitazione professionale come istruttore di scuola guida.
Il tribunale le ha riconosciuto un assegno e la Corte d'Appello l'aveva ridotto ad € 400,00 mensili.
Il marito aveva impugnato la sentenza sostenendo che essendo la moglie abilitata alla professione di istruttore di scuola guida, aveva una capacità reddituale e quindi non doveva percepire l'assegno di mantenimento.
La Cassazione ha rigettato l'impugnazione.
Ha infatti ritenuto che l'abilitazione professionale sia un dato "formale" e che al di là di questo la moglie fosse iscritta negli elenchi dell'UPLMO come disoccupata.
In altri termini non è detto che chi sia iscritto in un albo professionale debba automaticamente guadagnare.
Per di più lo stesso marito aveva ammesso che durante il matrimonio non aveva lavorato.
La conclusione è stata che un'abilitazione (per esteso l'iscrizione in un albo professionale) sia solo un dato formale / teorico e di per se' non possa impedire la percezione dell'assegno; questo a fronte di altri elementi dimostranti lo stato di bisogno del coniuge debole.

domenica 25 maggio 2014

La moglie ha diritto all'aumento dell'assegno anche se il marito ha diminuito il reddito? Valgono le proprietà immobiliari?



L'assegno di mantenimento del coniuge, in sede di separazione, deve tendere ad assicurare la coniuge lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio.
In questa logica può non contare la diminuzione del reddito di uno dei coniugi.
La Cassazione ha emesso l'interessante sentenza n. 9658/2014 (sez. VI civile 6.5.2014).
Il marito era andato in pensione ed il suo reddito era gravemente diminuito.
La Corte d'Appello aveva determinato l'assegno mensile per moglie e figlia, nella misura di € 1.000,00 mensili.
Il marito aveva fatto ricorso in Cassazione,  sostenendo che l'assegno era eccessivo perchè la Corte d'Appello non avrebbe tenuto conto della diminuzione del suo reddito mensile.
La Cassazione ha confermato la sentenza precedente.
Secondo la Suprema Corte ha poca rilevanza il fatto che il reddito mensile del marito sia diminuito perchè egli è in possesso di notevoli proprietà immobiliari che potrebbe ben alienare in parte per mantenere moglie e figlia.
Si fa riferimento ad un palazzo del valore di € 76.300.000 e ad un terreno di € 8.600.000.
E' importante aver specificato il valore tenuto presente dalla Cassazione per non creare equivoci.
Non si potrebbe infatti, a parere dello scrivente, sostenere lo stesso quando si tratti di vendere un appartamento che è l'unica proprietà del resistente. 
Come altro spunto rilevo che colpisce come, in presenza di proprietà così ingenti, si discuta di un assegno di € 1.000,00 che appare quanto mai misero. 
Anche qui, senza riferimento al caso concreto, ci vorrebbe un equilibrio maggiore nell'affrontare i doveri derivanti da una separazione. Forse in questo caso sarebbe stata utile anche una mediazione familiare.

sabato 24 maggio 2014

Adeguamento ISTAT dell'assegno di mantenimento aprile 2014.

L'ISTAT, il 13 maggio 2014 ha pubblicato gli indici per il mese di aprile.
La variazione del mese di aprile 2014 rispetto a aprile 2013 è di +0,5 %.
Questo significa che se un assegno era a aprile 2013 di € 1.000, a aprile 2014 diventa (€ 1000/100*100,5) € 1.005,00.
In teoria quindi il costo della vita dovrebbe essere aumentato, in un anno, dello 0,5 %.
Per fare calcoli più veloci (anche per più anni precedenti) è comunque disponibile il foglio di calcolo in fondo a questa pagina.
I dati sono comunque ricavabili (con qualche difficoltà) dal sito www.istat.it . Bisognerà cercare i dati dell'indice dei prezzi dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

giovedì 22 maggio 2014

Ecco il testo del disegno di legge sul divorzio breve (2014).

Abbiamo già scritto che, in questi giorni, la Commissione Giustizia della Camera ha approvato un disegno di legge sul divorzio breve.
Di seguito metto il testo.
Ricordo che ora questa proposta dovrà essere approvata da entrambe le Camere; un disegno analogo è stato approvato nel 2012 ma è morto di consunzione.
La data prevista per la discussione è il 26 maggio ma ... è il giorno successivo le elezioni... 
Vedremo cosa accadrà.

Modifiche all'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di
presupposti per la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del
matrimonio.
C. 831 Amici, C. 892 Centemero, C. 1053 Moretti, C. 1288
Lello e C. 2200 Di Salvo.



PROPOSTA DI TESTO UNIFICATO
DEI RELATORI

8 aprile 2014

Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del
matrimonio nonché di comunione tra i coniugi

Art. 1.
 1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) del primo comma
dell'articolo 3 della legge 1o
 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, sono
apportate le seguenti modificazioni:
 a) al primo periodo le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta
comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale nella procedura di
separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in
consensuale.» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dal deposito della domanda
di separazione.»;
b) dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Nelle separazioni consensuali
dei coniugi, in assenza di figli minori, il termine di cui al periodo precedente è di
nove mesi».
Art. 2.
 1. All'articolo 191 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
 «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel
momento in cui, in sede di udienza presidenziale, il presidente autorizza i coniugi a
vivere separati».

Bonafede, C. 1938 Di

sabato 17 maggio 2014

Approvato dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati il divorzio breve. E' una bufala?

In questi giorni qualcuno suona la grancassa (anche a fini elettorali) perché la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha approvato il testo della legge sul divorzio c.d. breve.
In realtà il testo andrà poi approvato alla Camera. Da qui passerà al Senato e sarà discusso di nuovo.
Tanto per dare un'idea riporto sotto il testo del provvedimento che fu approvato nel 2012. Dal 2012 è rimasto lettera morta fino ad ora (2014) ma invece di andare avanti in pratica si è allo stesso punto.
Per quello che riguarda la durata, il nuovo testo prevede un anno invece che due come durata massima; è stato infatti abolito il riferimento ai figli minori.
Si è detto che l'abolizione è stata fatta per tutelare la parità dei figli. E' una bufala perché è di prima evidenza che (al di la della scelta legislativa) un bambino di 4 anni è diverso ed ha esigenze diverse rispetto ad un adulto di 30 anni...
Vedremo  che combineranno questa volta...
Chiudo riportando il commento fatto da un separato:"mi auguro che facciano

presto...non ce la faccio più... separato dal 2009, schiacciato dalla malagiustizia, denunciato falsamente di violenza in famiglia... BASTAAAAAAA voglio vivere... lo Stato mi sta uccidendo obbligandomi a mantenere una donna che ha abbandonato figli e casa..."
Con il divorzio "breve" nulla cambierà in situazioni come questa.

Riportiamo il testo del provvedimento del 2012 perchè non è ancora disponibile quello attuale.
Camera dei Deputati, Commissione Giustizia, proposta di legge 29 marzo 2012, n. C. 749-1556-2325-3248-A


TESTO
unificato della Commissione
Modifiche all'articolo 191 del codice civile e all'articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di scioglimento del matrimonio e della comunione tra i coniugiTesto in discussione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati dal 21 maggio 2012
Art. 1.
1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) del primo comma dell'articolo 3 dellalegge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) al primo periodo le parole: «tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «un anno»;
          b) dopo il primo periodo è inserito il seguente: «In caso di presenza di figli minori, il termine di cui al periodo precedente è di due anni».
Art. 2.
1. All'articolo 191 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui, in sede di udienza presidenziale, il presidente autorizza i coniugi a vivere separati».

lunedì 12 maggio 2014

Negato l'adeguamento dell'assegno di mantenimento al marito affetto da sclerosi multipla.

Una recente sentenza della Cassazione (4416 del 25.2.2014) ha deciso un caso emblematico.
Al di là della decisione concreta, da degli spunti importanti per altre situazioni. Vediamola.
Il marito ha agito chiedendo l'aumento dell'assegno di mantenimento.
Lo chiedeva perché affetto da sclerosi multipla e perché le sue condizioni si sarebbero aggravate dopo la separazione; l'aggravamento non gli avrebbe consentito di svolgere la professione medica, con conseguente sua forte riduzione reddito. Nello stesso tempo, a causa della malattia e di necessità di cure, i suoi bisogni economici sarebbero cresciuti.
La moglie, farmacista, ha controdedotto che anche la sua attività dava un reddito minore.
La Cassazione ha negato l'aumento (seguendo la Corte d'Appello).
C'è quindi chi ha interpretato la sentenza senza coglierne le sfumature.
Invero la Cassazione ha notato che la malattia era stata già segnalata in corso di separazione.
Sembra quindi che abbia negato l'aumento perché la malattia esisteva già e quindi non era il caso di modificare l'assegno visto che la sua esistenza aveva concorso a determinarlo.
In realtà non è esattamente così. 
La Cassazione ha respinto la domanda perché il ricorrente si era limitato a dire che aveva la sclerosi e che era peggiorata; lo aveva fatto senza dimostrare analiticamente il suo peggioramento e come questo peggioramento avesse inciso nelle sue condizioni di vita ed economiche.
Leggiamo le parole usate:
" Il ricorso appare privo di autosufficienza sia in ordine alla rappresentazione della, pretesamente, non valutata novità dei fatti legittimanti la revisione delle condizioni della separazione sia relativamente alla loro incidenza sulle condizioni economiche del ricorrente il quale non ha in alcun modo specificato in che modo il processo degenerativo abbia inciso sulle condizioni economiche esistenti al momento della separazione consensuale sia sotto il profilo della riduzione del reddito derivante dalla sua attività lavorativa sia sotto il profilo dell'incremento delle spese sostenute a causa della malattia. Su tali presupposti la richiesta di revisione assume il contenuto di una richiesta di rideterminazione pura e semplice dell'assegno di mantenimento e come tale essa deve considerarsi inammissibile."
Di conseguenza, rimane fermo il principio per cui il peggioramento di una malattia già denunciata all'epoca della separazione può costituire motivo per la modifica dell'assegno, a condizione che le condizioni di vita ed economiche siano concretamente peggiorate e che questo sia determinato.
Non basta in altri termini che una grave malattia come la sclerosi multipla abbia in generale un decorso sempre peggiorativo. Bisogna riferirsi al caso concreto.
Da questo "errore" del medico si possono ricavare utili insegnamenti.
Il primo è che qualora si presenti una situazione del genere occorrerà documentarla bene in sede di separazione, in modo tale che costituisca un punto fermo.
Il secondo è che in caso di richiesta di modifica di un assegno di mantenimento, bisognerà sempre essere molto precisi sia nell'indicare il cambiamento avvenuto (fatto nuovo o modifica di fatto esistente).
E' molto pericoloso sperare che un Magistrato (sia esso Tribunale o Cassazione) possa capire una situazione grave come quella della sclerosi multipla guardando al di là delle carte processuali.




venerdì 9 maggio 2014

Basta la ripresa della convivenza per far cessare l'assegno di mantenimento?

Per l'art. 157 del codice civile (riportato sotto) i coniugi separati possono far cessare lo stato di separazione con un apposito accordo o "con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione".
Si ritiene quindi comunemente che basti "rimettersi insieme" per far cessare la separazione. Di fatto non basta avere magari rapporti sessuali o stare insieme durante una vacanza, ad esempio. Occorre che ci sia un vero e proprio riprendere concordemente lo stato matrimoniale, sotto tutti gli aspetti.
In questo senso non sono validi ne' la semplice ripresa della convivenza, nè un mero "tentativo" durato pochi giorni.
La Cassazione (9492/2014 sez. VI civile,  del 30/4/2014 ) ha specificato che ove si affermi che la separazione è cessata ex art. 157 bisogna provare non solo la ripresa della convivenza ma anche la "ricostituzione del consortium vitae" tra i coniugi, vale a dire che intendono di nuovo fare vita in
comune, come coppia sposata.
Per la stessa sentenza non fa nemmeno cessare gli effetti della separazione un "esperimento" di ripresa del matrimonio.
Da questo, considerato che le eccezioni ex art. 157 c.c. possono far l'altare il diritto all'assegno di mantenimento, è opportuno che ripresa della convivenza o esperimenti o altro siano consacrati in scritture private redatte da un avvocato. Si potrà così cristallizzare a futura prova che cosa effettivamente si sta facendo e cosa non si sta facendo.
Art. 157 del codice civile.
"Cessazione degli effetti della separazione.
I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l'intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.
La separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione."

Addebito della separazione e cessazione assegno mantenimento. Quando uno è colpevole?

L'addebito della separazione ha per effetto l'impossibilità di percepire un assegno di mantenimento.
Il far "addebitare" il fallimento della propria separazione ha quindi una importanza anche economica, non solo orale.
Una ulteriore conseguenza dell'addebito è anche l'impossibilità di ereditare  dal coniuge non colpevole (come se si fosse già divorziati).
Dal punto di vista "economico" bisognerà valutare con il proprio legale, caso per caso, quando convenga questa procedura.
I comportamenti che possono causare l'addebito sono in linea generale quelli contrari ai doveri stabilit nell'art. 143 c.c.Si tratta dell'obbligo di fedeltà, asssistenza morale e materiale, collaborazione, coabitazione, contributo economico.
Comportamenti come il non vivcere insieme, il maltrattare, il tradire il coniuge, il far mancare i mezzi di sostentamento o la collaborazione materiale, possono far addebitare la separazione.
Ilo tradire è certamente causa di addebito, come lo è picchiare il coniuge.
La giurispruidenza ha però stabilito  un punto fondamentale: il Giudice dovrà valutare se il comportamento "trasgressivo" è intervenuto quando esisteva una situazione di tollerabilità della convivenza o meno.
Su questa linea le sentenze della Cassazione civile n. 8862/2012, 21245/2010 ed altre.
Per questo sarà lecito avere una relazione con un'altra persona quando non esistano rapporti sessuali da anni o magari il coniuge abbia a sua volta da tempo una relazione.
Non è nemmeno causa di addebito l'allontanarsi dalla casa coniugale quando non ci sia una serena ed appaganete intesa sessuale (Cass. civile sentenza 8773 del 31 maggio 2012).
In sostanza potranno anche ssere valutati comportamenti meno appariscenti come il mantenere la casa in disordine o i figli trascurati nel vetsire e nel mangiare o simili.
La Cassazione infatti fissaa dei principi generali che le corti di merito (Tribunale Corte d'Appello) dovranno poi applicare ai casi concreti.



domenica 4 maggio 2014

Che cosa è l'assegno di mantenimento negli ordini di protezione familiare?

La legge 154 del 2001 ha introdotto gli ordini di protezione familiare che prevedono anche un assegno di mantenimento.
In sintesi quando si verifichino comportamenti di abuso, maltrattamenti violenze a carico di un componente la famiglia (intesa in modo molto ampio, anche di fatto) la vittima si può risolvere al tribunale in modo semplice e veloce (in una prima fase anche senza avvocato).
Il giudice, ai sensi dell'art. 342 ter c.p.c. può emettere gli ordini di protezione.
Ordina al persecutore di cessare il suo comportamento dannoso e gli può ordinare di allontanarsi dal domicilio familiare e di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima.
Qualora a seguito di questo allontanamento la vittima ed il gruppo familiare vengano a trovarsi senza mezzo di sostentamento, il tribunale può ordinare che il persecutore versi un assegno di mantenimento; può ordinare anche che l'assegno di mantenimento sia versato dal datore di lavoro direttamente alla vittime. 
Questo assegno di mantenimento è simile a quello previsto in caso di separazione e divorzio.
La prima diversità è sotto l'aspetto temporale.
Questo assegno è previsto solo per la durata dell'ordine, quindi massimo un anno (anche se prorogabile per ragioni di particolare gravità). L'anno decorre dal giorno di esecuzione dell'ordine di protezione.
La logica di questo durata temporale è che in un anno la vittima può attivarsi per ricorrere a forma di tutela, anche economiche, ordinarie.
Invece in caso di separazione o divorzio, in caso di mancate modifiche, l'assegno è per sempre.
La seconda grossa differenza è che questo tipo di assegno può essere erogato anche per convivenze di fatto, anche omosessuali o a tutela di soggetti diversi da coniuge o figli (purché vittime) come i nonni, fratelli, cognati o altri conviventi maltrattati. 
Il primo ricorso si può presentare senza avvocato e questa è una ulteriore facilitazione - semplificazione.

sabato 3 maggio 2014

Se si è in comunione ci si può intestare da soli un immobile? Come?


Se si è in comunione legale dei beni è possibile intestarsi in modo esclusivo la proprietà di un immobile o bene mobile registrato?

Per bene mobile registrato si intende ad esempio un'automobile perché la sua proprietà risulta da pubblici registri.
Tale possibilità sembra in contrasto con le norme sulla comunione dei beni.
E' possibile ad una serie di condizioni.
L'art. 179 c.c. prevede che si possano acquistare beni immobili o mobili registrati, escludendoli dalla comunione. Rimarranno quindi di esclusiva proprietà di uno solo dei coniugi.
Occorre però che all'atto partecipi l'altro coniuge e che dichiari espressamente che tali beni sono di proprietà esclusiva dell'altro, per essere ad esempio beni necessari al suo lavoro, acquistati con i proventi di un'eredità o altro.
Ovviamente, in pratica, sono sorti molti problemi di interpretazione.
Che cosa accade per esempio quando un bene è peronale nella realtà (perché serve esclusivamente al lavoro di un coniuge) ma l'altro non partecipa all'atto? L'altro potrà sempre impugnare l'atto soprattutto per la sua assenza alla stipula.

La soluzione tecnicamente migliore è quella di iniziare un giudizio contro il coniuge che non vuole partecipare all'atto per ottenere che il Giudice dichiari che si tratti di un bene personale. poi con la sentenza si potrà andare dal notaio. Con i tempi della giustizia è una soluzione molto molto teorica... Soluzioni diverse potranno essere cercate nel caso concreto e questo è il compito dell'avvocato.

Per dare un'idea riportiamo sentenze, anche tra loro discordanti, sul tema (Cass. 8 febbraio 1993 n. 1556, Cass. 24 settembre 2004 n. 19250, Corte di Cassazione,  Sezione Unite, 28 ottobre 2009 n. 22755).
Di seguito trascriviamo l'art. 179 codice civile. 
Articolo 179. Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;

e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto (2647).
L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’Articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lett. c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.

giovedì 1 maggio 2014

Assegno di mantenimento per il coniuge si riduce se il marito ha un altro figlio?

Un caso frequente è quello del coniuge che dopo il divorzio si sposa di nuovo ed ha un altro figlio. Che cosa accade all'assegno di mantenimento per il il coniuge (spesso la moglie)?
La Cassazione si è occupata da poco di un caso del genere. 
Vediamo cosa ha deciso con la sentenza 6289 del 19.3.2014.
Il tribunale di Viterbo aveva esaminato il caso di due coniugi che si erano separati dopo otto anni ma la separazione di fatto c'era stata dopo quattro. Aveva quindi stabilito un assegno di € 200,00 mensili.
La Corte d'Appello di Roma, aveva ridotto l'assegno ad € 100,00.
La moglie è proprietaria dell'appartamento dove  vive ma è disoccupata, pur essendo parrucchiera e conoscendo bene due lingue.
Il marito dopo il divorzio si è sposato di nuovo ed ha avuto un nuovo figlio.
Per questo chiedeva che l'assegno di € 200,00 mensili stabilito per la moglie fosse revocato. La sua tesi è che per la nascita del nuovo figlio le sue possibilità economiche si sono di nuovo ridotte.
Il figlio avuto dal primo matrimonio, pur essendo affidato congiuntamente, vive con il padre.
La Corte d'Appello di Roma gli aveva dato sostanzialmente ragione, comparando di nuovo la situazione economica degli ex coniugi e rilevando che la ex moglie, per la sua qualifica professionale, conoscenza di due lingue e gioventù, poteva ben trovarsi un altro lavoro.
La Cassazione ha ragionato affermando che la nascita di un nuovo figlio è un fatto che automaticamente non può determinare la riduzione dell'assegno divorzile per l'ex coniuge. Si tratta infatti di vedere concretamente in che modo tale nascita abbia influito economicamente.
Tanto per fare un esempio, se Berlusconi avesse un nuovo figlio non sarebbe facilmente sostenibile che la nascita gli un nuovo figlio non gli permette più di pagare un assegno a Veronica Lario...
Di conseguenza la Cassazione, ritenendo però possibile che la nuova situazione abbia ridotto le possibilità dell'uomo, ha rinviato gli atti alla Corte d'Appello: questa dovrà eliminare l'assegno per il coniuge qualora concretamente la nuova nascita abbia ridotto il reddito dell'ex marito - in riferimento alla capacità reddituale della moglie.
Riportiamo le parole della Cassazione (6289/2014):" ... il giudice deve verificare se si determini un effettivo depauperamento delle sue sostanze in vista di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti, salvo che la complessiva situazione patrimoniale dell'obbligato sia di tale consistenza da rendere irrilevanti i nuovi oneri (Cass. civ., sent. n. 4551 del 2012, n. 25010 del 2007).
Se, quindi, la costituzione di una nuova famiglia non rappresenta un automatico presupposto che impone la rideterminazione dell'assegno di mantenimento, è altrettanto errato ritenere che il sistema normativo si basi su una considerazione di non necessarietà della scelta del coniuge obbligato. Al contrario, il diritto alla costituzione della famiglia è un diritto fondamentale anche nel contesto costituzionale e sovranazionale della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo del 1950 (art. 12), e come tale è riconosciuto anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 9), senza che sia possibile considerare il divorzio come limite oltre il quale tale diritto è destinato a degradare al livello di mera scelta individuale non necessaria."