La Corte di Cassazione (sentenza n. 1585/2014
sez. VI-1
del 27/1/2014) ha affermato un principio "strano" ed interessante.
Nel caso specifico il padre continuava a versare l'assegno di mantenimento al figlio trentenne. Questi era iscritto ad una facoltà universitaria da otto anni, senza peraltro dare gli esami, quindi "con scarso profitto", come dice la sentenza.

Trascrivo le parole della sentenza:
"Il giudice a quo precisa che l’odierno
ricorrente, prossimo al raggiungimento del ventottesimo anno di età,
ha svolto attivitá lavorativa nel settore turistico alberghiero e
non frequenta con profitto il corso di laurea al quale risulta
formalmente iscritto da più di otto anni.
Richiama il
provvedimento impugnato giurisprudenza consolidata di questa Corte
(tra le altre, Cass. n. 26259 del 2005; n. 1761 del 2003) per cui il
mantenimento del figlio maggiorenne è da escludersi, ove questi
abbia iniziato ad espletare un’attività lavorativa, dimostrando
quindi il raggiungimento di una adeguata capacità, senza che possa
rilevare la sopravvenienza di circostanze ulteriori che, pur
determinando l’effetto di renderlo momentaneamente privo di
sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di
mantenimento, i cui presupposti erano già venuti meno. Semmai
potrebbe sorgere per il genitore un dovere alimentare, che si fonda
peraltro su presupposti del tutto differenti."
La sentenza appare "strana" perché si può pensare che l'assegno di mantenimento spetti al figlio che è privo di redditi. In realtà il discorso è diverso in quanto spetta al figlio che "non è in grado di procurarsi redditi, non ha sviluppato la relativa capacità".
Quindi qualora il figlio abbia lavorato ha dimostrato di essere in grado di farlo...
Del resto non è nemmeno vero che il padre può "fregarsene" del figlio. Rimane l'obbligo dell'assegno alimentare (generalmente minore di quello di mantenimento) di cui agli artt. 433 e seguenti del codice civile.
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