Un contenzioso molto comune in materia di assegno di mantenimento è quello del lavoro in nero o, comunque, degli introiti non dichiarati.
La normativa disponde che il Giudice (Tribunale o Corte d'Appello) possa disporre accertamenti tramite la Guardia di Finanza, sull'effettivo reddito.
In concreto però occorre che ci siano dei requisiti.
È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente sentenza 21359 del 2017.
La Corte d'Appello aveva ridotto l'assegno a favore della moglie da € 500 ad € 250.
La moglie sosteneva che il marito svolgeva una attività imprenditoriale e che questa risultava anche dai biglietti da visita e dalle entrate sul conto corrente bancario.
La Corte d'Appello aveva deciso che la signora non aveva provato il reddito del marito e quindi aveva respinto la sua domanda.
La donna ricorreva in Cassazione affermando che la Corte avrebbe potuto disporre gli accertamenti tramite la Guardia di Finanza anche perchè per lei sarebbe stato impossibile trovare le prove effettive dei redditi maggiori. Non avrebbe infatti potuto, per esempio, avere accesso ai conti bancari del marito.
La Cassazione ha annullato la decisione della Corte d'Appello ritenendo che la stessa (anche senza richiesta specifica da parte della ricorrente) avrebbe potuto disporre gli accertamenti da parte della polizia tributaria. Sempre secondo la Cassazione, la Corte d'Appello aveva errato nel non motivare sulla presunta inutilità degli accertamenti, cosa che avrebbe dovuto fare.
La Cassazione ha aggiunto che tuttavia, gli accertamenti tramite la polizia tributaria non sono sempre obbligatori o necessari: basta che ci sia la prova, in altro modo, che non ci siano i requisiti per la concessione dell'assegno divorzile.
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